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mercoledì 12 luglio 2017



Nimal Kingdom ci catapulta senza preamboli nella quotidianità di un piccolo paese di provincia nel milanese. La storia ci è raccontata tramite gli occhi di un adolescente, protagonista del romanzo, il quale attraverso il suo diario narra le vicende che accadono nel suo paesino e i sentimenti suoi e degli abitanti che le accompagnano.
Diego Ferrucci è una ragazzo di sedici anni che vive la sua adolescenza con insofferenza verso il suo paese e la sua famiglia, incapace, tranne la sorellina Chiara, di ascoltare le sue intime esigenze: la mamma succube della televisione e il padre perennemente stanco per il lavoro massacrante sono accomunati entrambi da ignoranza e ottusità. Un’ottusità che non risparmia nemmeno gran parte degli abitanti del paese, sempre pronti ad avercela con il “diverso”, l’extracomunitario di turno, oppure lo Stato, meschini e pettegoli senza pari, però pronti a mettersi in mostra non appena il Presidente della Regione va a fare loro visita.
La vita descritta rappresenta la vita che può esserci in qualsiasi paesino di provincia, Nord o Sud che sia, immerso nella sua grettezza e incapace di affrancarsene perché inconsapevole.
Il protagonista si rende invece conto di tutto ciò che lo circonda, ma la consapevolezza non è sufficiente se non è poi accompagnata dall’azione ed è proprio questa sua “pigrizia” a farlo entrare notevolmente in crisi ad un certo punto del racconto.
Ho gradito molto lo stile della narrazione perfettamente aderente al modo di parlare e sentire di un odierno adolescente ( non mi hanno dato nemmeno fastidio la frequenza abbastanza alta di bestemmie e parolacce usate); inoltre ho gradito anche che sebbene in definitiva non venga narrato niente di eclatante, l’autore in maniera fluida e scorrevole e soprattutto senza forzature, riesca a mantenere alta l’attenzione del lettore fino alle ultime righe.