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domenica 4 novembre 2018






Sotto il sole nero” è ambientato in un futuro alternativo apocalittico, in cui un sistema totalitario, l’Ordine, gestisce la vita della gente, sottoposta a regole ferree e spietate. A seguito di un disastro ambientale, il sole è stato oscurato e la popolazione vive terrorizzata in un regime di totale alienazione, ufficialmente per “essere protetta” dal Ductor, il “salvatore della specie”.  

MARCIA Marciano. Piedi che schiacciano il terreno come centinaia di battiti di tamburi. E al loro passaggio stordiscono l'ambiente. Lo schiacciano sotto le loro suole di gomma. Migliaia di piedi. E sopra migliaia di piedi, migliaia di gambe rette e lunghe. Migliaia di divise, migliaia di facce tutte uguali, di braccia tutte uguali, di armi tutte uguali. E bandiere, bandiere sopra le braccia, i piedi, le scarpe. Bandiere sopra il frastuono terribile dei loro passi simmetrici e simultanei. Bandiere nere, una svastica al centro. Il vento potente che le muove. E loro, loro inflessibili. Facce di bronzo sotto un sole nero.

Ma l’equilibrio imposto con la paura, dura finchè una minaccia da parte di invasori esterni comincia a farlo scricchiolare.

Sono raccontate storie di uomini logorati dalla paura e dall’ angoscia, impossibilitati a vivere la propria individualità, e questo vale sia per chi opprime, sia per chi è oppresso, conducendo ad una straziante alienazione.

“Pagare le tasse, spaccarci la schiena coi nostri lavori e coi nostri doveri. Obbedire ciecamente. Prestare al governo solo l'assenso, nient'altro. Questo è ciò per cui contiamo. Il silenzio.”


Nove punti di vista differenti contribuiscono a raccontare l’agghiacciante e paralizzante realtà, nove voci diverse accompagnano man mano il lettore verso un finale inaspettato.




Questo non è un romanzo facile da digerire e, personalmente, mi ha portato a fare riflessioni anche sulla condizione della nostra società attuale, non poteva essere altrimenti (evocazioni abbastanza soggettive): magari siamo tutti sotto un "sole nero", ma in maniera nettamente più subdola perchè è tutto mascherato da una parvenza di "libertà", chissà. Lo stile asciutto con frasi spezzate rende ancora di più la sensazione di angoscia, alienazione  e oppressione del racconto, che hanno pervaso anche me durante la lettura, e le frasi ossessivamente ripetute come in una sorta di litania ipnotica, da alcuni dei protagonisti, trasmettono con efficacia il loro senso di disperazione. Un libro che merita di essere letto, che investe il lettore in pieno e lo fa entrare in "crisi", come è giusto che faccia un libro .

domenica 15 aprile 2018


Oggi voglio presentare il romanzo di una scrittrice emergente, Bea Castelli con il suo  “Felicitè. I tumulti dell’essere”.
Di solito non sono avvezza a leggere libri “Romance Fiction Sexy” ma nonostante non sia il mio genere preferito, ho trovato questa storia interessante.
Il romanzo si apre con Bilitis, la protagonista, in attesa all’aeroporto di Parigi del volo per le Seychelles per trascorrere un mese da sola  e in pieno relax , lontano dai pensieri negativi che ogni tanto la colgono, mentre il suo fidanzato Alain rimarrà ad attenderla pazientemente a Parigi.
Bilitis, nonostante sia abituata ai continui spostamenti per il suo lavoro di archeologa, sente che questa vacanza è necessaria per conoscere meglio se stessa e venire a patti con il proprio passato.
Proveniente da una famiglia estremamente religiosa, e in particolare succube di una madre che considera l’altro sesso con diffidenza e disprezzo, Bilitis deve fare i  conti con le proprie contraddizioni e pulsioni anche distruttrici, che affiorano troppo spesso e intensamente.
La vacanza farà da propulsore ad enormi cambiamenti nella sua vita che si estenderanno anche fin oltre la sua permanenza sull’isola. Inizierà per  Bilitis un percorso altalenante tra momenti di estrema passione e di estrema sofferenza interiore che la farà giungere ad una piena conoscenza di se stessa e soprattutto le permetterà di far pace con la parte di se stessa succube di inibizioni moralistiche.
Come avverte la prefazione, questo romanzo non è certamente un soufflè, ed alcuni potrebbero trovare disturbanti certe situazioni e certi dialoghi perché i pregiudizi in ambito sessuale sono i più difficili da estirpare; però lo stile scorrevole non lo rende sicuramente noioso ed è facile divorarlo in pochissimo tempo. Questo è un libro soprattutto per chi è curioso di esplorare anche solo leggendo le sue pagine, ambiti più disinibiti della propria personalità e sicuramente non lascerà indifferente nessuno tra coloro che si avventureranno nella sua lettura.

domenica 25 marzo 2018


Avevo in serbo di leggere “Americanah”  già da un bel po’ ma non mi decidevo a farlo perché le 500 pagine mi spaventavano, invece mi sbagliavo, perché fin dalle prime righe la scrittura scorrevole e coinvolgente dell’autrice mi ha catturato in un vortice e Ifemelu è diventata la mia “amica” più vicina fin quando non l’ho terminato.
“Americanah” sembra a prima vista una semplice storia d’amore, ma mentre lo leggi avverti che è in realtà qualcosa di più.

All’inizio troviamo Ifemelu, una ragazza nigeriana che vive negli Stati Uniti da 13 anni, che prende la decisione di tornare in Nigeria, lasciare il suo fidanzato afro-americano e chiudere un blog redditizio che l’ha resa anche molto famosa.
La vediamo mentre dalla parrucchiera si sta facendo rifare le treccine e ripercorre interiormente buona parte della sua vita, da quando era studentessa in Nigeria, innamorata di Obinze, l’amore della sua vita, fino a quando arriva in America dove vive già da qualche anno sua zia Ujiu con il figlio Dike.
Riviviamo così insieme a lei la scoperta dolorosa di “essere nera” solo quando mette piede sul suolo americano, le umiliazioni e i rifiuti durante i colloqui di lavoro, e la tenacia con cui nonostante tutto è riuscita poi ad ottenere un posto nella società americana grazie anche al blog che ha creato, che riflette  sui pregiudizi degli americani sui neri .
“Dunque tre donne nere su quasi duemila pagine di riviste femminili, e sono comunque meticce o di razza incerta, quindi potrebbero anche essere indiane o portoricane o qualcosa del genere. Nessuna di loro è scura. Nessuna di loro mi somiglia. Quindi in queste riviste non trovo mai idee su come truccarmi. Guarda, quest'articolo dice di pizzicarti gli zigomi per dargli colore, perché è sottinteso che tutte le lettrici abbiano zigomi che prendono colore se li pizzichi. Quest'altro parla di prodotti per capelli per tutte, e tutte significa bionde, brune e rosse. Io non sono tra queste. E questo parla dei balsami migliori, per capelli lisci, mossi e ricci. Non crespi. Vedi cosa intendono per ricci? I miei capelli non potrebbero mai essere così. Questo parla di come abbinare l'ombretto al colore degli occhi, azzurri, verdi e nocciola. Ma i miei occhi sono neri, quindi non posso sapere quale sia l'ombretto giusto per me. Qui dicono che il rossetto rosa è universale, ma lo è solo se sei bianca perché io sembrerei una golliwog se usassi questo tono di rosa. Ah, guarda, qui si fanno progressi. La pubblicità di un fondotinta. Ci sono sette tonalità diverse per pelle bianca e un generico color cioccolato, ma questo è già avanti. E ora parliamo un po' di chi ha una visione distorta della razza.

Il libro racconta anche la storia di Obinze, che in Nigeria ormai ricco, sposato e padre di una bambina ha vissuto anche lui gli stessi problemi di Ifemelu mentre viveva in Inghilterra clandestinamente, ma al contrario di Ifemelu, ha dovuto subire anche l’umiliazione del rimpatrio forzato.

Quando Ifemelu ritorna in Nigeria, deve affrontare un razzismo “al contrario” perché ormai è diventata “Americanah”, è cambiata e mentre cercherà di riappropriarsi delle sue origini, rivivendo la Nigeria con occhi diversi, tenterà anche di cucire ferite d’amore passate.
Non voglio aggiungere altro sulla trama, che quando leggerete il romanzo, scoprirete avere un ruolo secondario, perché quello che conta in questa storia sono i sentimenti dei protagonisti.
 Questo è un libro di satira sul razzismo “travestito” da storia sentimentale oppure il contrario; da qualsiasi punto di vista lo si consideri, “Americanah” ci permette di riflettere su di noi, sull’ipocrisia che imperversa nella società (in particolare quella americana) riguardo al razzismo; un razzismo mascherato dal politically correct ma non meno crudele di quello che si respirava anche fino a una cinquantina di anni fa, che ci fa porre domande sul “senso di appartenenza” e per contrasto sul suo contrario.

Questo romanzo è  anche una sfida per l’autrice, Chimamanda Ngozi Adichie, che anch’essa nigeriana, deve aver vissuto sulla propria pelle le esperienze di Ifemelu, tanto si avverte la sofferenza sottostante e in una parte del libro per bocca di Ifemelu dice
Non si può scrivere un romanzo onesto sulla razza in questo paese. Se scrivi su come la gente è condizionata dalla razza, è troppo ovvio. I pochi scrittori neri che fanno narrativa di qualità in questo paese, e sono tre, non i diecimila che scrivono quelle cazzate di libri sui ghetti con le copertine sgargianti, hanno due scelte: o fare i preziosi o fare i pretenziosi. Quando non sei né l’uno né l’altro, nessuno sa cosa farsene di te. Quindi, se vuoi scrivere di razza, devi cercare di farlo in modo lirico e sottile così che il lettore che non legge tra le righe non si accorge neppure che si parla di questioni razziali. 
Con una sincerità quasi brutale ci troviamo di fronte al nostro finto perbenismo, al nostro voler credere che dai tempi della schiavitù in America, siano stati fatti enormi passi avanti ma la verità è che
 L'unica ragione per cui dici che la razza non é un problema é perché vorresti che non lo fosse. Tutti lo vorremmo, ma é falso.