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domenica 1 novembre 2020

 


Il libro inizia con un’inquietante allegoria tratta da un antico testo buddista della tradizione Madhyamika: un uomo in viaggio da una terra remota si ferma per riposare in una casa abbandonata dove a mezzanotte vede arrivare un orco che porta con sé un cadavere, dopo poco arriva un altro orco che litiga con il primo per la proprietà del cadavere. I due orchi non essendo in grado di arrivare ad un accordo, chiedono il parere dell’uomo, che dice la verità, dunque che è stato il primo orco a portare il cadavere. Il secondo diventa furioso e gli strappa un braccio, allora ecco che il primo orco sostituisce il braccio mancante con quello del cadavere e così via fino a che ogni pezzo del corpo dell’uomo è rimpiazzato da ciascun pezzo del cadavere, persino la testa.Il giorno dopo, quando ormai gli orchi sono andati via dopo aver banchettato con i pezzi scambiati, l’uomo si rimette in viaggio letteralmente scosso, e comincia a chiedersi se ha ancora un corpo e se lui esista ancora. Lungo la strada incontra dei monaci buddisti a cui pone il dubbio esistenziale che lo attanaglia e loro gli rispondono con un’altra domanda : “Tu chi sei?”.

 

Tu chi sei?” è la domanda fondamentale che percorre tutto il saggio e guida il lettore nei meandri misteriosi della mente umana ai confini del sé, alla ricerca di una definizione di ciò che ci rende ciò che siamo con i nostri ricordi e sensazioni.

 

Attraverso le storie di persone affette da patologie del sé, che mettono a dura prova l’ormai consolidato “cogito ergo sum” cartesiano, l’autore vuole scoprire insieme a noi  la sede del nostro “Io”, se esiste oppure è una realtà emergente per puro caso da meccanismi in atto nelle varie parti del nostro cervello.  Il corpo, inoltre, come essere incarnato, che ruolo ha in tutto questo e il suo legame con la mente, dovunque essa risieda, è fondamentale oppure esso funge da semplice accessorio?

Alzheimer, sindrome di Cotard, autismo, depersonalizzazione, epilessia, Doppelgänger , sono malattie del sé che mettono a soqquadro le certezze su ciò che sentiamo di essere, sulla sensazione che abbiamo  di possedere  un Sé con una storia coerente che ci segue nel tempo, che abbia sede dentro di noi e che rende ognuno di noi individui unici, tutte considerazioni che diamo per scontate e su cui molto raramente ci soffermiamo a pensare.

“A volte, chi vive sempre e senza disturbi nel proprio corpo e, oltre a questo, avverte chiaramente le emozioni e le percepisce come proprie, non si rende conto della fortuna che ha. Se per tutta la vita si è stati intimamente connessi con il proprio sé, non lo si apprezza poi tanto.”

 

Ogni capitolo ripercorre e analizza alla luce delle ultime scoperte delle neuroscienze, ciascuna  malattia; le storie nella maggior parte dei casi sono  raccontate in prima persona dai pazienti, intervistati da Anil direttamente. Colpisce in maniera favorevole, che non ci sia mai il classico distacco emotivo dello scienziato nella narrazione, anche nella presentazione di aridi dati scientifici, anzi, queste disfunzioni del sè vengono sempre guardate con un occhio partecipe della sofferenza profonda di queste persone e delle drammatiche conseguenze nella loro vita di tutti i giorni; cosa ancora più sorprendente, attraverso l’analisi delle loro esperienze, c’è come un ripensamento sovversivo su come le malattie mentali siano state considerate finora.

Guardando le cose  dal punto di vista dell’esperienza delle persone che abbiamo incontrato in questo libro, la comprensione della natura del sé è cruciale. Se[…] la causa della nostra sofferenza è l’attaccamento illusorio a un sé che ci appare solido, allora la comprensione della sua vera natura potrebbe alleviare le nostre pene. […] E se invece vedessimo quei disturbi come una conseguenza non di presunti difetti del sé, ma di un attaccamento ossessivo alla nostra idea del sé?

Un libro che consiglio di leggere a chiunque sia anche solo minimamente attratto dagli studi sulla coscienza e che attraverso la vita di persone che vedono il mondo diversamente dalla “gente normale” vuole trovare un senso all’affascinante complessità di ciò che ci rende umani: armonia di pura carnalità e sé evanescente.