Ciao a tutti, oggi voglio presentarvi un libro molto
particolare, una raccolta di racconti dal titolo “Codice a sbarre” e sottotitolo “Storie
di assenti e di simbionti in cattività”, l’opera di esordio di una giovane
scrittrice che è anche attrice, Giulia Tubili.
Il titolo mi ha colpito sin da subito, come anche l’emblematica immagine di copertina: il profilo di una persona e del filo spinato che sembra attraversarle il capo.
Tutto questo mi ha incuriosito e mi sono buttata a capofitto nella lettura dei racconti.
Ebbene, mi sono resa conto che mai nessun titolo e
immagine sono stati più azzeccati, perchè mi sono trovata catapultata in un mondo
asfissiante e atmosfere cupe in cui i vari personaggi agiscono, o pensano di
agire, rimanendo invischiati nei loro pensieri o nei loro atti.
Alcune storie sono effettivamente ambientate in carceri,
ma ciò che le accomuna tutte, è la sensazione di reclusione in cui vivono i
vari protagonisti a prescindere dalla situazione che si trovano a vivere.
Ogni personaggio sembra vittima delle proprie azioni e delle
tormentate elucubrazioni mentali a cui sottopone se stesso.
Le sbarre quindi, che siano effettive o meno, sono quelle
di cui si circondano i protagonisti segnando una netta separazione dal mondo
che li circonda.
La particolarità di quest’opera è che non c’è mai una
premessa per introdurre il lettore a ciò che sta per leggere: in ogni storia ci
si trova sempre già “in medias res”,
ciò che sta per succedere o il personaggio e la sua situazione diventano più
chiari man mano che si procede con la lettura; insomma il lettore si trova lanciato
a capofitto già in un particolare momento che culminerà sempre in un gesto o in
una spiegazione che sveleranno la situazione lasciandolo quasi
stordito e senza fiato per lo stupore.
Lo stile di Giulia Turbili non è molto scorrevole, c’è
una certa tortuosità nelle frasi e le storie sono piene di immagini che si
susseguono in maniera fitta; però anche se all’inizio tutto ciò mi ha reso un
pò difficoltosa le lettura, man mano l’ho apprezzato e l’ho trovato congeniale
allo svilupparsi dei racconti, volti ad essere resi ancora più cupi da
atmosfere che sono un mix tra il giallo il noir e il thriller; alcune scene
splatters possono sembrare disturbanti ma il tutto è funzionale a toccare quasi
con mano il senso di alienazione dei personaggi che consci o meno delle
conseguenze delle loro azioni e pensieri, si autorecludono in una prigione senza
alcuna speranza e via d’uscita.
L’autrice ha sviscerato sin nel profondo la psiche umana
traendone il torbido e il marcio che molto probabilmente alberga in ciascuno di
noi; in queste storie il lettore troverà impostori, condannati a morte,
assassini, insomma il peggio dell’umanità.
Una lettura che consiglio a chiunque voglia immergersi
nella lettura di un’opera che potrebbe rivelarsi anche una sorta di
autoanalisi, che sicuramente avrà un
forte impatto emotivo in chiunque avrà voglia di cimentarsi in questo viaggio “nel sottosuolo”.