Pagine

venerdì 25 marzo 2016


Ciao a tutti! Oggi vi presento un libro delicato e misurato che a me ha colpito proprio per la scelta dello stile narrativo: ”L’ultimo inverno” di Paul Harding.
“Ottantaquattro ore prima di morire George pensò: E’ perché sono come tessere di un mosaico, e hanno lo spazio sufficiente per potersi muovere tutte, anche se solo poco per volta e in un unico luogo, al punto che in realtà sembra quasi che a muoversi sia lo spazio tra l’una e l’altra, ed è proprio quello spazio vuoto che manca, gli ultimi pezzi di vetro colorato e, quando quei pezzi saranno al loro posto, formeranno l’immagine finale, l’ultima combinazione. Ma quei pezzi, lisci, lucidi, laccati, sono le tessere scure della mia morte, grigie e nere, aride e sbiancate, e fino a quando non saranno al loro posto, tutto il resto continuerà a mutare.”
Questo romanzo è il racconto di come George, ormai vecchio e prossimo alla morte, attorniato amorevolmente dalla moglie, i figli e i nipoti, cerchi di mettere a posto tutte le tessere del mosaico che hanno composto la sua vita. Inizia così, un viaggio interiore nella memoria, alla ricerca di un padre la cui immagine è legata ad un carretto pieno di mercanzie che vagava tra i boschi del Maine, ma anche ad una malattia misteriosa e imprevedibile , l’epilessia, che si mostrò nel pieno della sua violenza davanti ad un George dodicenne durante il Natale del 1926.
George riscopre un padre che abbandonò la moglie e i quattro figli piccoli quando si rese conto che la moglie l’avrebbe fatto internare in un manicomio, e si presentò un giorno, improvvisamente davanti alla sua porta quando ormai era un uomo adulto e sposato.
Scorrono davanti agli occhi del lettore, snocciolandosi e mescolandosi, ricordi di George e del padre Howard come se fossero un’unica interminabile allucinazione.
Lo stile usato è quasi mistico, delicato, ma non meno intensamente si avverte la forza straordinaria che emana: è commovente leggere come gli ultimi giorni di vita vengano trascorsi da un figlio a ricongiungersi almeno nella memoria ad un padre.
Quando venne il tempo di morire, lo capimmo e andammo in luoghi riparati, dove ci stendemmo e le nostre ossa si fecero d'ottone. Ci raccolsero e ci usarono per riparare orologi o carillon;[...]E così, finalmente, ci unimmo a un meccanismo più grande.


Nessun commento:

Posta un commento