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domenica 4 aprile 2021

 



Quest’isola non c’era. Non compariva nei portolani, immaginosi resoconti redatti dagli equipaggi del secolo decimosesto. Né in seguito nelle descrizioni dei mercanti o degli avventurieri che solcavano il Mediterraneo a loro rischio e pericolo. Né, è ovvio, nei trattati dei cartografi inglesi o spagnoli; mai si lesse di terre che interrompessero quel tratto di mare chiamato della Laga, già crocevia delle correnti tra l’isola di Malta, Lampedusa e Mazara in un luogo pensato, si sarebbe detto, al centro di un triangolo troppo difficile. Niente. Tranne le dicerie. E la certezza, di converso, che l’isola fosse dilagata nove anni prima, nel giro di poche ore. Così che da allora apparve davvero difficile resistere alla tentazione di immaginarla salire dall’abisso tra il mulinare delle correnti.”

Ecco qui comparire dalle prime parole del romanzo, ex abrupto, la protagonista di questo interessante romanzo metaforico che irrompe con forza già dal titolo, “L’isola che non c’era” di Leonardo Bonetti.

Il lettore sin dall’incipit è iniziato a questo mistero, un’isola che non c’era, che improvvisamente emerge dalle acque dell’Adriatico, di cui si parla in un libro ancora più misterioso, ormai disperso e che nel romanzo si dice sia stato proprio il suo oblio a permettere all’isola di nascere.

L’isola è una meta che non a tutti è permesso di raggiungere: la difficoltà è già insita in fenomeni magnetici della zona, e i pochi che riescono nell’impresa,  se ammalati, vengono espulsi e devono subire da parte dei residenti un’incresciosa quarantena perché

è possibile rimanere solo a seguito d’una sicura guarigione, visto che l’integrità del corpo e dello spirito è condizione imprescindibile per essere ammessi a far parte della comunità.”

Dopo la presentazione dell’isola, ecco che facciamo la conoscenza di Leo, il personaggio principale del romanzo, attraverso gli occhi del quale, il lettore conosce man mano l’isola. Leo è un ragazzo proveniente da una regione dell’Italia Centrale, che dopo essere stato abbandonato improvvisamente dalla sua fidanzata, letteralmente scomparsa dalla città in cui viveva insieme alla famiglia, decide di cimentarsi nell’impresa di raggiungere l’isola attratto dalla sua aura di mistero, ammaliato dalla ricerca di un luogo dove poter rinascere. Con mezzi di fortuna riesce nell’impresa e qui scopre una società dove regnano la giustizia e la libertà, mentre le malattie e altre negatività sembrano assenti. Guidato dalla sua curiosità, farà la conoscenza di personaggi che subito colpiscono la curiosità dello stesso lettore: Andina, una giovane fanciulla fidanzata a Giorgino, che con la sua determinazione e leggerezza tipica dell’età, lo affascina; il misterioso Dottor Elwin o Dottor Timido con la sua compagna Judith, che gli accenna a qualcosa di segreto che cela l’isola senza soddisfare mai la sua sete di conoscenza e infine la coppia ancora più misteriosa dei Poyka; tutte persone, anch’esse fuggite da una realtà dolorosa, alla ricerca come Leo di un luogo di pace.

Estremamente emblematico a mio parere è il dialogo che Leo e il Dottor Elwin hanno a proposito del pozzo, dove il dottore in una delle passeggiate lo porta per mostrargli la collezione di farfalle

“Credo che sia un pozzo molto profondo, comunque. A volte, quando scendo laggiù e mi cade qualcosa – un accendino, che so – non sento alcun rumore dal fondo».
«Scende nel pozzo?».
«Sì, non si sente nulla, laggiù, gliel’ho detto. Gli oggetti cadono, ma io aspetto inutilmente. Si potrebbe dire che la loro sia una caduta senza fine. Ma poi ci sono le mie farfalle e allora…».
«Le sue farfalle? Scende per quelle?».
«No, non proprio. Diciamo che laggiù riesco a distinguere meglio le cose di quassù. Anche se non si vede niente, gliel’ho detto, a parte le farfalle; e comunque varrebbe la pena già solo per questo. Scendere e salire sono un ottimo esercizio dello spirito, oltre che del corpo.”

 

Leo, dopo i primi giorni di immersione in una realtà che soddisfa tutte le sue attese, viene colto da una sorta d’inquietudine e piccoli germogli di perplessità vengono seminati nel suo animo: come si regge la giustizia dell’isola? Chi comanda?Cos’è il Necrolario e la casamatta, a cui fa ogni tanto qualche accenno il Dottor Elwin? Perché i bambini che nascono sull’isola non vengono cresciuti dalle loro madri ma ceduti ad altre donne?

Il dubbio sempre più forte che l’isola celi dentro di sé dei segreti terribili lo angoscia in maniera dolorosa, ed è così che alla cieca, comincia un lungo viaggio verso la parte sconosciuta di questa terra e scoprirà, man mano che si addentrerà, sempre più cose di essa che sgretoleranno il suo mito, fino al finale, spiazzante a cui ogni lettore  reagirà in base a ciò che nasconde nel suo inconscio.

Il lettore leggendo questo romanzo e immedesimandosi in Leo, diventa Leo stesso e con le domande che questo personaggio pone e il viaggio che decide di intraprendere verso la fine del romanzo, è il lettore stesso che inizia un viaggio dentro di sé alla ricerca del  mistero che vuole essere svelato ma che come quei sogni fatti quasi al risveglio, si rivela sempre in qualche modo inafferrabile, nonostante l’impegno che ci metta.

Questo è un romanzo metaforico e filosofico che ha forti rimandi alla più raffinata letteratura novecentesca (come non citare L’iguana di Anna Maria Ortese ad esempio) che con la sua scrittura fortemente surreale ed evocativa cattura l’attenzione del lettore, nonostante non sia di facilissima lettura, non certo per lo stile dell’autore, ma perché il lettore è come se venisse faccia a faccia con la realtà intrinseca di se stesso e questi incontri si sa, non sono mai facili.

Questo è uno di quei libri, che come l’isola di cui parla, alla fine della sua lettura fa riemergere in qualche modo, non più gli stessi, modificati nell’animo, pieni di domande che forse non avranno mai risposte ma l’importante è porsele, come fa Leo nella storia, perché la conoscenza seppure solo intuita  con l’isola dentro di noi,  è un percorso d’obbligo per una crescita spirituale, con tutti i rischi che può comportare.