“Quest’isola
non c’era. Non compariva nei portolani, immaginosi resoconti redatti dagli
equipaggi del secolo decimosesto. Né in seguito nelle descrizioni dei mercanti
o degli avventurieri che solcavano il Mediterraneo a loro rischio e pericolo.
Né, è ovvio, nei trattati dei cartografi inglesi o spagnoli; mai si lesse di
terre che interrompessero quel tratto di mare chiamato della Laga, già crocevia
delle correnti tra l’isola di Malta, Lampedusa e Mazara in un luogo pensato, si
sarebbe detto, al centro di un triangolo troppo difficile. Niente. Tranne le
dicerie. E la certezza, di converso, che l’isola fosse dilagata nove anni
prima, nel giro di poche ore. Così che da allora apparve davvero difficile
resistere alla tentazione di immaginarla salire dall’abisso tra il mulinare
delle correnti.”
Ecco
qui comparire dalle prime parole del romanzo, ex abrupto, la protagonista di questo interessante romanzo
metaforico che irrompe con forza già dal titolo, “L’isola che non c’era”
di Leonardo Bonetti.
Il
lettore sin dall’incipit è iniziato a questo mistero, un’isola che non
c’era, che improvvisamente emerge dalle acque dell’Adriatico, di cui si parla
in un libro ancora più misterioso, ormai disperso e che nel romanzo si dice sia
stato proprio il suo oblio a permettere all’isola di nascere.
L’isola
è una meta che non a tutti è permesso di raggiungere: la difficoltà è già
insita in fenomeni magnetici della zona, e i pochi che riescono
nell’impresa, se ammalati, vengono espulsi e devono subire da parte
dei residenti un’incresciosa quarantena perché
“è
possibile rimanere solo a seguito d’una sicura guarigione, visto che
l’integrità del corpo e dello spirito è condizione imprescindibile per essere
ammessi a far parte della comunità.”
Dopo
la presentazione dell’isola, ecco che facciamo la conoscenza di Leo, il
personaggio principale del romanzo, attraverso gli occhi del quale, il lettore
conosce man mano l’isola. Leo è un ragazzo proveniente da una regione
dell’Italia Centrale, che dopo essere stato abbandonato improvvisamente dalla
sua fidanzata, letteralmente scomparsa dalla città in cui viveva insieme alla
famiglia, decide di cimentarsi nell’impresa di raggiungere l’isola attratto
dalla sua aura di mistero, ammaliato dalla ricerca di un luogo dove poter
rinascere. Con mezzi di fortuna riesce nell’impresa e qui scopre una società
dove regnano la giustizia e la libertà, mentre le malattie e altre negatività sembrano
assenti. Guidato dalla sua curiosità, farà la conoscenza di personaggi che subito colpiscono
la curiosità dello stesso lettore: Andina, una giovane fanciulla fidanzata a
Giorgino, che con la sua determinazione e leggerezza tipica dell’età, lo
affascina; il misterioso Dottor Elwin o Dottor Timido con la sua compagna
Judith, che gli accenna a qualcosa di segreto che cela l’isola senza soddisfare
mai la sua sete di conoscenza e infine la coppia ancora più misteriosa dei
Poyka; tutte persone, anch’esse fuggite da una realtà dolorosa, alla ricerca
come Leo di un luogo di pace.
Estremamente
emblematico a mio parere è il dialogo che Leo e il Dottor Elwin hanno a
proposito del pozzo, dove il dottore in una delle passeggiate lo porta per
mostrargli la collezione di farfalle
“Credo che sia un pozzo molto profondo,
comunque. A volte, quando scendo laggiù e mi cade qualcosa – un accendino, che
so – non sento alcun rumore dal fondo».
«Scende nel pozzo?».
«Sì, non si sente nulla, laggiù, gliel’ho detto. Gli oggetti cadono, ma io
aspetto inutilmente. Si potrebbe dire che la loro sia una caduta senza fine. Ma
poi ci sono le mie farfalle e allora…».
«Le sue farfalle? Scende per quelle?».
«No, non proprio. Diciamo che laggiù riesco a distinguere meglio le cose di
quassù. Anche se non si vede niente, gliel’ho detto, a parte le farfalle; e
comunque varrebbe la pena già solo per questo. Scendere e salire sono un ottimo
esercizio dello spirito, oltre che del corpo.”
Leo,
dopo i primi giorni di immersione in una realtà che soddisfa tutte le sue
attese, viene colto da una sorta d’inquietudine e piccoli germogli di
perplessità vengono seminati nel suo animo: come si regge la giustizia
dell’isola? Chi comanda?Cos’è il Necrolario e la casamatta, a cui fa ogni tanto
qualche accenno il Dottor Elwin? Perché i bambini che nascono sull’isola non
vengono cresciuti dalle loro madri ma ceduti ad altre donne?
Il
dubbio sempre più forte che l’isola celi dentro di sé dei segreti terribili lo
angoscia in maniera dolorosa, ed è così che alla cieca, comincia un lungo viaggio verso
la parte sconosciuta di questa terra e scoprirà, man mano che si addentrerà,
sempre più cose di essa che sgretoleranno il suo mito, fino al finale,
spiazzante a cui ogni lettore reagirà in base a ciò che nasconde nel
suo inconscio.
Il
lettore leggendo questo romanzo e immedesimandosi in Leo,
diventa Leo stesso e con le domande che questo personaggio pone e il viaggio
che decide di intraprendere verso la fine del romanzo, è il lettore stesso che
inizia un viaggio dentro di sé alla ricerca del mistero che vuole
essere svelato ma che come quei sogni fatti quasi al risveglio, si rivela
sempre in qualche modo inafferrabile, nonostante l’impegno che ci metta.
Questo
è un romanzo metaforico e filosofico che ha forti rimandi alla più raffinata
letteratura novecentesca (come non citare L’iguana di Anna Maria Ortese ad esempio) che
con la sua scrittura fortemente surreale ed evocativa cattura l’attenzione del
lettore, nonostante non sia di facilissima lettura, non certo per lo stile
dell’autore, ma perché il lettore è come se venisse faccia a faccia con la
realtà intrinseca di se stesso e questi incontri si sa, non sono mai facili.
Questo
è uno di quei libri, che come l’isola di cui parla, alla fine della sua lettura fa riemergere in qualche modo, non più gli stessi, modificati nell’animo, pieni
di domande che forse non avranno mai risposte ma l’importante è porsele, come
fa Leo nella storia, perché la conoscenza seppure solo intuita con l’isola
dentro di noi, è un percorso d’obbligo per una crescita spirituale,
con tutti i rischi che può comportare.