martedì 21 dicembre 2021

 


Ciao a tutti, oggi vi presento un libro davvero molto particolare, che mi sono divertita tanto a leggere ma allo stesso tempo, come ogni buon libro, mi ha fatto riflettere: “Immacolata intercessione” di Carlo Kik Ditto edito da “Il ramo e la foglia edizioni”.

Ecco a voi, Unicorn e Shebop, un’attore porno gay molto religioso e praticante, e una transessuale con una passione quasi mistica per Cindy Lauper che di giorno fa la parrucchiera mentre di notte è un’incredibile drag queen del Blue Tongue; due amici e coinquilini che vivranno il nuovo miracolo di fine millennio, il tutto calato nell’atmosfera magica di una Chicago degli anni ‘80.

In quasi tutta la storia, parla Unicorn che con un’incisività dirompente si fa spazio tra un perbenismo che sa di naftalina e che negli anni ’80 era considerato semplicemente la normalità.

 Mi sono scelto una professione che va controcorrente, sono abituato a remare con forza, il giudizio altrui mi scivola addosso, ma l’ipocrisia che circonda la società e i fruitori del porno è angosciante. [...]

A volte immagino di essere la reincarnazione di Sant’Agostino d’Ippona, un grande uomo, autore del mio libro preferito: La città di Dio, è in quelle pagine in cui mi rifugio quando il mondo pesa sulle mie spalle.[...]

Nonostante io sia solo un umile peccatore e un pornodivo, che vive il sogno americano senza aver fatto un cazzo di male a nessuno, a chi mi giudica vorrei solo dire che Dio ha un fine per ognuno di noi, un fine maggiore, il mio passa per il porno e ne vado fiero”.

I capitoli in cui è Shebop a parlare invece, sono quelli più delicati, che compensano la forza e la rabbia che traspaiono spesso dalle parole di Unicorn.

Non so se sia possibile, ma ricordo esattamente il momento in cui la mia escrescenza prese le sembianze di una vagina, era come se fossi appena uscita, per la seconda volta, dalla pancia di mia mamma. È come ricordare la propria nascita. Sembra impossibile ma è così.

Il giorno in cui feci l’intervento risolutivo, fuori c’era un sole che spaccava le pietre, ma quello dentro di me splendeva ancora di più”.

I due coinquilini vivono immersi nella routine rassicurante dei loro lavori, circondati da personaggi che sebbene secondari riescono a caratterizzare meglio l’ambiente e le vite dei due protagonisti, finchè un giorno, nel negozio di parrucchiera di Shebop compare una donna di nome Mary, episodio che  come in una sorta strana coincidenza astrale, segnerà il punto di partenza per una serie di avvenimenti dalle sembianze di incidenti e stranezze che porteranno al culmine la storia con un evento che stravolgerà per sempre e completamente le loro vite.

I due personaggi non vengono mai chiamati con i loro veri nomi, a parte un momento che svelerà in maniera catartica la magia di cui è intrisa la vita di due persone che la società di solito ritiene non abbiano niente di memorabile e degno di essere notato.

Lo scrittore con un’attenzione molto accurata per i dettagli ci catapulta nell’atmosfera che vivono Unicorn e Shebop. Nonostante ci siano alcuni episodi che possono essere definiti molto scabrosi e descritti nei minimi particolari, non ho notato alcuna morbosità da parte dell’autore, anzi, a me è sembrato un modo per rendere più partecipe il lettore delle vite dei due personaggi, per aiutarlo a conoscerli meglio e mostrare che sebbene al di fuori sembrino ogni tanto sopra le righe, interiormente vivono dei turbamenti che l’esteriorità istrionica serve solo a celare.

Lo stile è divertente ma il messaggio di fondo che traspare è molto profondo: le differenze non sono scarti ma opportunità per una società più inclusiva in cui il “miracolo” può celarsi dove meno ce l’aspettiamo.

Ammiro la casa editrice che ha accettato di pubblicare un’opera di questo tipo e apprezzo  il coraggio dell’autore per aver scritto una storia trasgressiva e provocatoria, tesa a stuzzicare il lettore, permettere di ampliare gli orizzonti della propria mentalità e a suscitare riflessioni costruttive in una società che ama dividerci in compartimenti stagni, ed è un bene perciò che poi arrivino queste storie a stravolgere tutto. 

lunedì 20 settembre 2021

 


Ciao a tutti, oggi vi propongo un romanzo di un autore che abbiamo già incontrato, Pablo Ayo, ma in una veste completamente diversa, non come autore di un’opera fantasy, bensì di un thriller divertente e con tratti a volte comici, insomma anche in questo caso uno scritto particolare che non si incasella in un genere ben rigido e definito: “Otello e la maledizione degli hotel”.

Il protagonista, Otello Bonacasa, ha una stupenda fidanzata Alisa, ex velina ed è un genio dell’informatica che ha fondato insieme al suo socio Marco Trifoldi l’azienda “Cloud 9” ma, cosa molto più importante è vittima, almeno secondo lui, di una maledizione: la maledizione degli hotel, da quando il suo ex compagno di liceo Evaristo gliela lanciò quasi per scherzo durante uno dei tanti atti di bullismo.

Che sia frutto di un’autosuggestione o veritiera questa convinzione, fatto sta che la sua vicenda rocambolesca ha inizio proprio in un hotel di Dubai dove è giunto per una conferenza: nel momento in cui apre la sua valigia, viene investito dallo scoppio di alcuni sacchetti di cocaina che gli sono stati inseriti a tradimento tra i suoi effetti personali.

Sarà costretto a fuggire e nella sua corsa verso la salvezza, mentre persone per lui insospettabili cercheranno in tutti i modi di portare a buon fine la trappola che gli è stata tesa, Otello sarà a sua volta ricercato da narcotrafficanti colombiani, malavitosi romani e camorristi, ma farà anche amicizie improbabili durante la sua permanenza nel carcere di Rebibbia, ebbene sì, non si farà mancare nulla, nemmeno una “vacanza” in carcere.

Durante quest’avventura, la sua ingenuità gli farà rischiare molte volte la sua stessa vita ma l’aiuto dei nuovi amici e la sua collaudata e proverbiale intelligenza, gli permetteranno di trovare soluzioni estrose anche nei momenti più difficili, e strano a dirsi riusciranno a farci scappare una risata divertita.

Mi è piaciuto davvero tanto leggere questo libro, il suo stile scorrevole è riuscito a dosare molto bene i momenti umoristici e i colpi di scena che si sono susseguiti ad un ritmo sostenuto; non mancano a dire il vero anche alcune scene abbastanza violente, insomma “alla Quentin Tarantino”, ma non stonano in un clima che rimane comunque ironico e divertente. Ho particolarmente apprezzato anche la cura per l'attività di editing, di solito refusi fastidiosi possono rendere lacunosa la gradevolezza della lettura, invece in questo caso si nota con piacere che è stato dedicato del tempo alla revisione.

Infine, i vari personaggi, anche quelli più marginali sono descritti con un tratto psicologico accurato anche se tra tutti spicca il protagonista, che si divide tra momenti di disperazione e disillusione e altri in cui deciso e determinato sembra quasi un “genio del Male”.

Un libro divertente che si lascia leggere molto facilmente e con piacere, consigliato se si ha voglia di farsi strappare qualche risata in maniera intelligente.

 


domenica 29 agosto 2021

 


“ È buio e diluvia quando Silvana Guerrini tira giù la serranda del suo negozietto di paralumi nel centro di Siena; fa freddo sebbene sia aprile, e ancora diluvia quando sale sull’autobus per tornare nella periferia dove abita; continua a diluviare mentre lei, inzuppata e stanca, arranca per le scale del suo condominio, e scuotendo l’ombrello che gocciola apre la porta di casa. Una vicina si affaccia sul pianerottolo, “Il postino ha lasciato una raccomandata per te, ho firmato io la ricevuta”. Le porge una busta cincischiata, con indirizzi diversi cancellati e riscritti, deve aver girato parecchio, pensa Silvana prendendola, sarà una grana, non ha voglia di aprirla infreddolita com’è, e l’appoggia sul tavolinetto dell’ingresso.[...]La busta contiene una risma di fogli scritti a mano e due biglietti. Tira fuori il primo. “Cara Signora, la Signora Annibaldi mi ha detto di mandarvi queste cose sue. Tanti saluti. Saponaro Filomena.”[...]Con un gesto automatico prende l’altro biglietto, ci butta un’occhiata: una data incompleta, 16 giugno, una sola frase, “Non mi dimenticare” e una firma: Clara.”

Inizia così “Le rovinose” di Concetta D'Angeli, e sia il titolo sia l’incipit animano nel lettore subito, anche senza conoscere i dettagli della storia, sentimenti di ferite e dolori mai né rimarginati, né accantonati.

Le rovinose” è il racconto dell’amicizia di due ragazze Silvana e Clara nella Toscana degli anni ’70 e la sua narrazione le accompagna sin verso la fine degli anni ’80 intrecciando la loro vita privata  con le vicende che hanno insanguinato l’Italia degli anni di piombo.

La storia delle due ragazze si divide in tre parti: nella prima sono raccolti i ricordi rievocati nella mente di Silvana dopo aver ricevuto il misterioso plico e raccontati in prima persona in un unico flusso torrenziale come se fossero rimasti intrappolati dentro di sé troppo a lungo e urgessero la fuga; nella seconda è la stessa autrice a narrare alcune vicende dei due personaggi, una “parentesi metanarrativa” come la definisce lei stessa e infine la terza parte è il diario di Clara, grazie al quale vengono date spiegazioni ad alcuni ricordi di Silvana, rimasti dolorosamente sospesi e inspiegati, chiudendo una sorta di cerchio e dando così un senso alle loro vite che lo stesso titolo anticipa e marchia con partecipe tristezza.

Silvana conosce Clara all’Università quando ha necessità di alcune traduzioni dal russo per un lavoro da consegnare ad un professore. L’amicizia all’inizio sembra essere una di quelle che poi sfumano quando si viene presi dalla routine quotidiana, invece col tempo il rapporto diventa sempre più saldo, eppure le due ragazze non possono essere più diverse:

Biondina, occhi chiari lineamenti affilati, bassetta, magra, sempre vestita di colori scuri, pantaloni sbrendoli, maglioni informi: malinconica e silenziosa, senese doc, Silvana viveva in famiglia, padre invalido, madre incapace; era ambiziosa, puntava al successo professionale e all’ascesa sociale, voleva diventare ricca.

[...] Clara Bellami invece capelli mori, lunghissimi, occhi viola, forme prorompenti inguainate dentro minigonne colorate, braccia collo dita ricoperte di bigiotteria chiassosa, era estroversa, generosa, divertente. Veniva da Sassetta, provincia di Livorno, zona agricola, produzione di vino e castagne. Portata per le lingue (“E’ naturale, la tu’ mamma era russa” le ripeteva la tata Cesira) sarebbe diventata interprete, traduttrice, avrebbe girato il mondo, o chissà? Era irrequieta, costante, scontenta”.

Sono sì, diverse, ma accomunate da un tormento interiore e autodistruttivo che ciascuna esterna a modo suo.

Silvana, è desiderosa di riscattarsi socialmente e contemporaneamente, resa inquieta e dipendente dal forte legame di amicizia con Clara, dovrà venire a patti con un’identità sessuale, che non potrà più ignorare, anche se ciò vorrà dire scontrarsi con una mentalità che addita con severità qualsiasi comportamento definito “anomalo” (lo è in parte ancora oggi purtroppo), mentre Clara, fuggita da Sassetta pur di non rimanere con un padre denigratore, dopo che anni prima la mamma, di origini russe era morta, è ogni giorno angosciata per un forte desiderio di essere dominata ed anela ad essere posseduta da un uomo violento e fustigatore che riesca a placare il marcio dentro di sé.

L’equilibrio sebbene instabile della loro amicizia, verrà rotto quando nella loro vita entra Lorenzo, un rampollo di una famiglia nobiliare, a cui lui stesso, cresciuto senza affetto e sostegno morale sente di non appartenere, infatti simpatizzerà presto per le idee violente delle Brigate Rosse senza però entrarne a far parte in maniera effettiva.

Entrambe le ragazze col tempo vedranno i loro desideri farsi realtà, ma come in un sogno che si trasforma presto in un incubo, sarà proprio il loro esaudimento a condurre ognuna delle due, mediante strade e modalità diverse verso un destino rovinoso.

Concetta D'Angeli con sapiente maestria riesce ad armonizzare nel romanzo temi importanti e diversi come la vita dello studente universitario, i rapporti con la famiglia d’origine, la crisi esistenziale causata dalla ricerca di un’identità sessuale, le dipendenze affettive e i rapporti d’amore malsani, tutto ciò unito alla brama di raggiungere un’emancipazione sociale a dispetto dei muri di gomma presenti in una società che all’epoca riduceva gli omosessuali a macchiette e guardava con estrema diffidenza ad una donna che desiderasse farsi strada in ambiti prettamente maschili.

L’autrice utilizza uno stile duttile che riesce a passare con facilità dalla simpatica cadenza toscana alla ruvidità dialettale del Sud, alternando con sapienza, senza che il lettore avverta con perplessità il passaggio netto, il flusso di coscienza con il racconto di vicende storiche e quello epistolare. Si nota una certa delicatezza nel narrare le storie di Silvana e Clara, è evidente l’affetto profondo che ha unito l’autrice ai suoi personaggi principali, ed è un affetto che con partecipe commozione riesce a trasmettere anche al lettore.

Nelle ultime pagine del romanzo è raccolta una lunga lista di stragi terroristiche e attentati di camorra e mafia avvenute durante il racconto delle vite di Silvana e Clara. Una lunghissima scia di sangue a partire dal 5 gennaio 1976 fino al 15 dicembre 1988 che lascia sgomento il lettore e fa in modo che dopo aver girato l’ultima pagina, lui non sia più la stessa persona che l’ha iniziato.

domenica 15 agosto 2021

 



Ciao a tutti, eccomi qui per presentarvi la seconda parte di una saga che vi ho fatto conoscere un pò di tempo fa: “Huntermoon – La profezia dei Vizerath” di Pablo Ayo.

Nel primo libro, “Huntermoon – L’inganno di Ogmareth” abbiamo fatto conoscenza con i personaggi principali, ora a questi ultimi si aggiungono altre figure speciali e importanti per la storia.

 In questa parte del romanzo, ritroviamo Gabriel sempre più deciso a scoprire come mai suo padre sia morto e lui sia stato accusato di alto tradimento da Re Albion; nel proseguio della storia, man mano che Gabriel diventerà più confidente del potere insito dentro di sè e dovrà barcamenarsi tra i diversi agguati dei Vizerath una volta giunto in Oriente, si faranno più rade le nebbie dell’intrigo fino ad uno sconvolgente episodio finale che lascio al lettore per non togliere nulla alla forza immaginifica trasmessa dalla maestria dell’autore.

Anche il suo Comandante Kalahad Harteneis rischia di rimanere invischiato in macchinazioni perverse ordite ai suoi danni da elementi all’interno del suo stesso gruppo di uomini ma ancora di più si lascia ammaliare dalla principessa dei Vizerath Aranya, che il popolo acclama come la “Fanciulla Pura” delle profezie, che lo salverà dall’Oloorna Karsha, un periodo di terrore in cui gli esseri umani sono ormai in balia di Orchi, Troll e Demoni non potendo più essere protetti dagli Dei.

Rivediamo e ci vengono presentati durante la storia, figure femminili che scoprono dentro di sè immensi poteri che potrebbero segnare anche la loro condanna a morte come streghe se solo venissero scoperte.

Ma tutti i personaggi principali hanno in comune il sentire affiorare a poco a poco dal lontano oblio della coscienza, ricordi fumosi ma molto evocativi di una vita passata come Dei Alasheers, che devono ogni cento anni abbandonarsi ad un sonno che li fa reincarnare in esseri umani per provare sentimenti a loro preclusi: l’Amore e la  Compassione.

Inframmezzati alle vicende degli umani, viene raccontata anche il dramma degli Dei che devono affrontare un pericolo mortale, “la caduta del cielo”.

In questa seconda parte, Pablo Ayo riesce con una sorprendente bravura a catapultare il lettore nella storia; adesso le descrizioni dei personaggi e delle battaglie sono dettagliate ancora con più efficacia ed unita ad un’analisi psicologica di tutti i protagonisti principali, si riesce maggiormente ad entrare in sintonia con le vicende che gli accadono e i loro sentimenti.

Non posso che consigliare la lettura anche di questa parte, mentre  rimango in attesa di una mia auspicata terza parte.

 

 

 

 

 

 

 


martedì 22 giugno 2021

 




Ciao a tutti, oggi vi presento un romanzo d’esordio, dell’autore Timothy  Megaride (un eteronimo) che considero una chicca in un contesto letterario che si sta appiattendo sempre più pur di soddisfare i gusti di tutti e con il richiamo del guadagno facile. 

Ecco a voi, perciò “Adolesco”, di cui già il titolo e l’immagine di copertina, particolarmente azzeccata per lo stile utilizzato, ci introducono ad una storia che raccontata diversamente, avrebbe potuto sembrare banale ma che non lo è assolutamente; sicuramente non facilissima da assimilare, ma questa cosa lungi dall’essere un difetto, è ciò che permette di addentrarsi meglio nel romanzo per i lettori che decidono di lasciarsi guidare fiduciosi dalla sua lettura .

Iniziamo dal titolo, “Adolesco”, “divenire adulto”, rende l’idea del processo intrapreso dal protagonista, con tutta l’irruenza dei suoi 16 anni.

Tommaso, è rinchiuso nella sua stanza, da cui gli è vietato uscire a causa di una vicenda che si dipanerà e si renderà più chiara man mano che procede il romanzo. Il ragazzo impossibilitato all’azione, decide di affidare ad un registratore vocale il racconto della sua vita degli ultimi tre anni, e lo fa con rabbia, veemenza, perdendosi ogni tanto in ragionamenti pieni di turpiloqui e idiomi gergali tipici dei ragazzi della sua età.

All’inizio della storia, non si riesce ad essere partecipi delle vicende della sua vita, complice anche il perdersi del ragazzo in ragionamenti confusi che sviano dal racconto e  si fa fatica a capire cosa lo angustia così tanto.

Man mano che si procede, ci vengono presentati dapprima i suoi genitori, tipici genitori della classe benestante che pretendono di avere il controllo totale del loro unico figlio mascherandolo con un’ipocrita premura, e già cominciamo a condividere la poca simpatia, poi ecco spuntare Riccardo, l’amico di infanzia con cui il ragazzo condivide tutto ma proprio tutto e con cui ha un rapporto quasi simbiotico.  Tommaso ci presenta  poi Giona, lo psicologo da cui lo parcheggiano i suoi genitori perchè lo aiuti a diventare “normale”, con il quale stabilisce da subito invece un rapporto d’amicizia che  si può definire alla pari: da lui si sente compreso e cosa più importante, mai giudicato.

Infine conosciamo, il personaggio vero fulcro di tutta la storia: Marta, sposata a Fulvio, l’amore della sua vita; perchè in definitiva questo romanzo è in tutto e per tutto una storia d’amore, atipica, certo, ma con la sua dose di romanticismo, seppur celata. Marta è l’insegnante da cui va a ripetizione di latino e di cui si innamora perdutamente, della quale costruisce un’immagine idealizzata, quasi alla Stilnovo,  lontana anni luce dalle fantasie poco lusinghiere a cui ogni tanto si abbandona immaginando le ragazze della sua età.  Marta, per una vicenda che ricorda un fatto di cronaca simile di qualche anno fa,  è la responsabile della “reclusione” del ragazzo ma lui nella sua ingenuità, anche quando viene a conoscenza del motivo, trova ogni possibile giustificazione pur di non scalfire l’idea di perfezione che si è costruito di lei.

Questo è un romanzo che esula dai soliti romanzi di formazione degli ultimi anni, e per questo motivo ammiro tantissimo la casa editrice “Il ramo e la foglia Edizioni” per la voglia di mettersi in gioco con opere che possono non essere comprese subito ma che  se si intraprende la loro lettura senza pregiudizi e prese di posizione, si riescono a godere appieno e ci si lega ad esse come ad un amico.  Ebbene, “Adolesco” è un opera da cui veniamo rapiti man mano che procediamo;  Tommaso diventa l’adolescente a cui vogliamo tendere la nostra mano per guidarlo nel suo percorso di crescita e aiutarlo a destreggiarsi tra le macchinazioni degli adulti. Fa tenerezza nel suo cercare di districarsi e trovare una motivazione alle decisioni che altri prendono al suo posto riguardo alla sua vita. Allo stile ispido, pieno di divagazioni tipico di un ragazzo che si abbandona ai suoi ragionamenti anche poco coerenti e confusi, ci si riesce a fare l’abitudine dopo poche pagine tanto da non riuscire ad immaginare un modo di esporre diverso, più lineare, che farebbe perdere forza all’intero romanzo.

Nel panorama letterario ecco quindi aggiungersi un tassello in più, una vera occasione per permettere a noi “adulti” di riflettere sui disagi e il disorientamento nei nostri ragazzi causati molto spesso proprio da noi stessi, anche senza rendercene conto, quando soprattutto pensiamo di agire per il loro bene.

 


domenica 9 maggio 2021

 


Oggi vi presento un libro di un genere che non sono solita leggere, un fantasy, che nonostante tutto, ha destato la mia attenzione: “Huntermoon – L’inganno di Ogmareth” di Pablo Ayo, scrittore e giornalista, esperto di vita extraterrestre e ufologia.

In questo romanzo che in realtà è a metà tra il fantasy e la fantascienza, l’autore mette a frutto anni di studio nell’ambito extraterrestre e biblico.

La storia si incentra sul divario tra gli Dei Alasheers e gli Elfi Oscuri che in un lontano passato, sul loro pianeta di origine, si sono fatti guerra fino quasi ad estinguersi ma la vittoria degli Alasheers è riuscita a porre fine alla carneficina.

In un mondo lontano chiamato Shandar esistono 12 regni: nove sono situati nelle terre occidentali, dette Lande di Kennar, mentre ad oriente si ergono i tre regni di Vizreem. Gli occidentali dalla pelle bianca sono i discendenti degli Dei nordici Alasheers, mentre gli orientali dalla pelle scura si vantano di essere stati generati dagli Dei orientali Elvensheers, gli Elfi Oscuri. Gli Dei non sono vaghe creature mitologiche, esistono realmente e vivono sulla luna di Shandar, un satellite naturale dotato di atmosfera e vegetazione.

Gli Alasheers sono in realtà degli extraterrestri, esseri immortali provenienti da un pianeta morente. Per sopravvivere  in eterno essi hanno imparato a nutrirsi dell’energia emessa dai mortali, quando li pregano e venerano. Anche gli Elvensheers si nutrono dell’energia umana, ma di un altro genere: quella collegata alla paura e ai desideri più oscuri. L’odio tra le due razze divine fu ereditato dai loro discendenti umani, occidentali e orientali, kenreen e vizerath, in perpetuo conflitto.

Ecco l’incipit che lancia il lettore direttamente in questo mondo, riportandolo a rimembranze passate.

I principali protagonisti sono quindi i due schieramenti di Dei, Alasheers ed Elvensheers, bellissimi e terribili nella loro potenza, di cui i comuni mortali risultano essere per lo più degli schiavi ma per certi versi legati vicendevolmente da un laccio più forte di qualsiasi legame di sangue.

La storia inizia con gli umani abbandonati a loro stessi, perché gli Dei Alasheers sono entrati nei loro 100 anni di sonno e le “Lande di Kennar” non possono essere più protette dai troll e gli orchi che le infestano.

Le armate di Re Albion, mandate in Oriente per soffocare la ribellione dei Vizerath fa fatica a reprimere la loro forza. Tra i crociati troviamo Gabriel Huntermoon, che intende anche scoprire come mai il suo valoroso padre sia scomparso, oltre a cercare di evitare l’accusa infamante di alto tradimento, ignaro di essere al centro di  un complesso intrigo ordito dal Re.

Nel suo viaggio incontrerà Yasshira, una ragazza orientale dai poteri straordinari con la quale condivide un forte legame telepatico.

Nello svolgersi del romanzo, conosceremo altri misteriosi personaggi: Valisha Venmaliatus, figlia illegittima del conte Oren, che, maltrattata dal padre e dalla matrigna, cresce nel rancore e desidera le arti oscure delle sue antenate sacerdotesse; Rhiannon, una giovane apprendista maga che scopre con sconcerto di avere il potere di generare le fiamme e riuscire a dominarle e il suo maestro e saggio Hammerkunin la aiuterà nell’importante percorso di crescita.

Gli Dei ora reincarnati sotto forma umana, vedono ritornare i loro ricordi sotto forma di sogni insieme alla scoperta di un sentimento a loro sconosciuto: l’Amore.

 

Nonostante non sia un genere che sono abituata a leggere, questo romanzo ha subito catturato il mio interesse e attenzione e grazie ad uno stile scorrevole e ricco di dettagli sui personaggi, mi sono trovata catapultata in un’affascinante e misteriosa ambientazione medievale.

I dialoghi sono maneggiati con grande cura dall’autore e le scene di guerra sono descritte nei minimi dettagli, tali da sembrare di essere all’interno della battaglia.

Chi è amante di storie ben raccontate, non solo del fantasy o di narrazioni di extraterrestri, non potrà perdersi la lettura di questo romanzo molto interessante.

domenica 4 aprile 2021

 



Quest’isola non c’era. Non compariva nei portolani, immaginosi resoconti redatti dagli equipaggi del secolo decimosesto. Né in seguito nelle descrizioni dei mercanti o degli avventurieri che solcavano il Mediterraneo a loro rischio e pericolo. Né, è ovvio, nei trattati dei cartografi inglesi o spagnoli; mai si lesse di terre che interrompessero quel tratto di mare chiamato della Laga, già crocevia delle correnti tra l’isola di Malta, Lampedusa e Mazara in un luogo pensato, si sarebbe detto, al centro di un triangolo troppo difficile. Niente. Tranne le dicerie. E la certezza, di converso, che l’isola fosse dilagata nove anni prima, nel giro di poche ore. Così che da allora apparve davvero difficile resistere alla tentazione di immaginarla salire dall’abisso tra il mulinare delle correnti.”

Ecco qui comparire dalle prime parole del romanzo, ex abrupto, la protagonista di questo interessante romanzo metaforico che irrompe con forza già dal titolo, “L’isola che non c’era” di Leonardo Bonetti.

Il lettore sin dall’incipit è iniziato a questo mistero, un’isola che non c’era, che improvvisamente emerge dalle acque dell’Adriatico, di cui si parla in un libro ancora più misterioso, ormai disperso e che nel romanzo si dice sia stato proprio il suo oblio a permettere all’isola di nascere.

L’isola è una meta che non a tutti è permesso di raggiungere: la difficoltà è già insita in fenomeni magnetici della zona, e i pochi che riescono nell’impresa,  se ammalati, vengono espulsi e devono subire da parte dei residenti un’incresciosa quarantena perché

è possibile rimanere solo a seguito d’una sicura guarigione, visto che l’integrità del corpo e dello spirito è condizione imprescindibile per essere ammessi a far parte della comunità.”

Dopo la presentazione dell’isola, ecco che facciamo la conoscenza di Leo, il personaggio principale del romanzo, attraverso gli occhi del quale, il lettore conosce man mano l’isola. Leo è un ragazzo proveniente da una regione dell’Italia Centrale, che dopo essere stato abbandonato improvvisamente dalla sua fidanzata, letteralmente scomparsa dalla città in cui viveva insieme alla famiglia, decide di cimentarsi nell’impresa di raggiungere l’isola attratto dalla sua aura di mistero, ammaliato dalla ricerca di un luogo dove poter rinascere. Con mezzi di fortuna riesce nell’impresa e qui scopre una società dove regnano la giustizia e la libertà, mentre le malattie e altre negatività sembrano assenti. Guidato dalla sua curiosità, farà la conoscenza di personaggi che subito colpiscono la curiosità dello stesso lettore: Andina, una giovane fanciulla fidanzata a Giorgino, che con la sua determinazione e leggerezza tipica dell’età, lo affascina; il misterioso Dottor Elwin o Dottor Timido con la sua compagna Judith, che gli accenna a qualcosa di segreto che cela l’isola senza soddisfare mai la sua sete di conoscenza e infine la coppia ancora più misteriosa dei Poyka; tutte persone, anch’esse fuggite da una realtà dolorosa, alla ricerca come Leo di un luogo di pace.

Estremamente emblematico a mio parere è il dialogo che Leo e il Dottor Elwin hanno a proposito del pozzo, dove il dottore in una delle passeggiate lo porta per mostrargli la collezione di farfalle

“Credo che sia un pozzo molto profondo, comunque. A volte, quando scendo laggiù e mi cade qualcosa – un accendino, che so – non sento alcun rumore dal fondo».
«Scende nel pozzo?».
«Sì, non si sente nulla, laggiù, gliel’ho detto. Gli oggetti cadono, ma io aspetto inutilmente. Si potrebbe dire che la loro sia una caduta senza fine. Ma poi ci sono le mie farfalle e allora…».
«Le sue farfalle? Scende per quelle?».
«No, non proprio. Diciamo che laggiù riesco a distinguere meglio le cose di quassù. Anche se non si vede niente, gliel’ho detto, a parte le farfalle; e comunque varrebbe la pena già solo per questo. Scendere e salire sono un ottimo esercizio dello spirito, oltre che del corpo.”

 

Leo, dopo i primi giorni di immersione in una realtà che soddisfa tutte le sue attese, viene colto da una sorta d’inquietudine e piccoli germogli di perplessità vengono seminati nel suo animo: come si regge la giustizia dell’isola? Chi comanda?Cos’è il Necrolario e la casamatta, a cui fa ogni tanto qualche accenno il Dottor Elwin? Perché i bambini che nascono sull’isola non vengono cresciuti dalle loro madri ma ceduti ad altre donne?

Il dubbio sempre più forte che l’isola celi dentro di sé dei segreti terribili lo angoscia in maniera dolorosa, ed è così che alla cieca, comincia un lungo viaggio verso la parte sconosciuta di questa terra e scoprirà, man mano che si addentrerà, sempre più cose di essa che sgretoleranno il suo mito, fino al finale, spiazzante a cui ogni lettore  reagirà in base a ciò che nasconde nel suo inconscio.

Il lettore leggendo questo romanzo e immedesimandosi in Leo, diventa Leo stesso e con le domande che questo personaggio pone e il viaggio che decide di intraprendere verso la fine del romanzo, è il lettore stesso che inizia un viaggio dentro di sé alla ricerca del  mistero che vuole essere svelato ma che come quei sogni fatti quasi al risveglio, si rivela sempre in qualche modo inafferrabile, nonostante l’impegno che ci metta.

Questo è un romanzo metaforico e filosofico che ha forti rimandi alla più raffinata letteratura novecentesca (come non citare L’iguana di Anna Maria Ortese ad esempio) che con la sua scrittura fortemente surreale ed evocativa cattura l’attenzione del lettore, nonostante non sia di facilissima lettura, non certo per lo stile dell’autore, ma perché il lettore è come se venisse faccia a faccia con la realtà intrinseca di se stesso e questi incontri si sa, non sono mai facili.

Questo è uno di quei libri, che come l’isola di cui parla, alla fine della sua lettura fa riemergere in qualche modo, non più gli stessi, modificati nell’animo, pieni di domande che forse non avranno mai risposte ma l’importante è porsele, come fa Leo nella storia, perché la conoscenza seppure solo intuita  con l’isola dentro di noi,  è un percorso d’obbligo per una crescita spirituale, con tutti i rischi che può comportare.


domenica 7 marzo 2021

 


Oggi voglio presentarvi non uno ma due romanzi: “Il Vestito Rosso” e  Girasoli d'Oriente” di Imelda Zeqiri.

I due romanzi fanno parte di una trilogia di cui l’autrice si sta apprestando a scrivere la terza parte.

Entrambe le opere hanno come protagonista Jane, una donna con un vissuto familiare molto sofferto.

Ne “Il Vestito Rosso  il lettore viene guidato per mano tra i pensieri  reconditi  e l’anima di Jane, in un viaggio all’interno della sua psiche  toccando con mano le sue ferite più profonde. In questo romanzo alcuni suoi dolori non ancora sopiti prendono forme umane e si incarnano in individui che perpetuano la sua sofferenza in un ciclo infinito.

“Eravamo stati catapultati nella rete, in uno spazio virtuale dove tutta l’umanità sembrava unificata, pur cercando di non cancellare il pluralismo identitario. Il disincanto era stato traforato dal bisogno di contatto non reale, quello che si nascondeva dentro i telefonini e i pc ed io non mi ero minimamente accorta che quella nostra vita comune era stata invasa da un plurale che disconoscevo e che non volevo assolutamente vedere, presa dalla fuga dell’abbandono del mio essere, desideroso di fondersi in una nuova identità.

Immersi nella bellezza dei vicoli di Firenze, incantati dagli scorci magnifici che l’autrice ci mostra, con uno stile scorrevole e dal ritmo quasi onirico l’autrice affronta temi molto attuali come l’omofobia, il ghosting, l'abbandono, la morte, relazioni uomo-donna, relazioni genitori-figli, razzismo, omosessualità e violenza, senza che la narrazione degli eventi strida con l’ambientazione, anzi a mio parere, la bellezza secolare e luminosa di Firenze mette ancora più in risalto le ombre che la protagonista cela dentro di sé, e che fuoriescono dai suoi gesti nel momento in cui si trova a rapportarsi con l’altro da sé.

In “Girasoli d’Oriente” continua il percorso definirei quasi iniziatico di Jane, perché le vicissitudini che l’hanno accompagnata nel romanzo precedente, che, continuano a perseguitarla anche in questa storia, seppure in forma diversa, le sono necessarie proprio per liberarsi di tanto dolore e rinascere come donna.

 

“La trappola sociale all’interno della quale mi trovavo come un pesce fuor d’acqua mi faceva mal sperare su un cambiamento da centralizzazione dell’uomo a focalizzazione dei bisogni della natura e dello spirito. La marginalizzazione della bellezza insieme alla rinuncia della dimensione tragica dell’essere umano erano il preludio di un tramonto della specie. Il paradigma dell’umanesimo rinascimentale lasciava il testimone al collasso delle idee. L’uomo era ora l’artefice delle sue azioni ed io facevo parte dell’umana onda che attendeva di giungere a riva per infrangersi e svanire. La cultura che mi avvolgeva era quella della comunicazione senza contenuti ed incontrare un uomo o scoprire che una donna sapeva parlare e trasmettere delle emozioni significava abbandonare lo stato di anestesia e di isolamento nel quale mi trovavo.

Jane, proveniente da una famiglia disgregata e dai rapporti tossici, è affascinata dal carisma di sua nonna Sole, una donna apparentemente silenziosa, vissuta in maniera sottomessa accanto ad un uomo autoritario, che invece, dopo la morte avrà tanto da raccontarle e la sua storia le darà la forza per lasciarsi andare alla passione verso Arjuna, un uomo di affari proveniente dal Sud dell’India, “vicino di casa” della casa di campagna dei suoi nonni. L’ambientazione si arricchisce ora, ed oltre alla Firenze, che abbiamo conosciuto nel romanzo precedente, il lettore si sposta nella calda Andalusia a Siviglia e nella quasi mistica Madurai.

L’amore però molto spesso nasconde anche un lato nascosto, quasi fosse uno scotto da pagare e Jane non verrà risparmiata da questa regola crudele. I dolori questa volta, la porteranno ad andare ancora in più profondità dentro se stessa, a porsi domande sulla vita oltre la morte dopo la scomparsa di sua nonna ma ancora più in maniera straziante dopo un’aborto spontaneo che subirà nel momento in cui pensava di avere toccato la felicità con mano. La differenza di mentalità tra Occidente ed Oriente non faranno altro che acuire la sua sofferenza e il senso di abbandono e solitudine che la carpiscono. Il finale aperto, una vera e proprio sorpresa per me, lascia intravedere uno spiraglio di luce per Jane ma vedremo nella terza parte se l’autrice ha voluto “illudere” o meno il lettore.

 

Ecco qui sotto una breve autobiografia della scrittrice:

PRESENTAZIONE IMELDA ZEQIRI
Imelda Zeqiri (Tirana, 1986) è una poetessa e scrittrice emergente laureata e specializzata in Lingue e Letterature Europee e Americane presso l'Università degli Studi di Firenze. Consegue vari titoli post laurea, quali master e corsi di alta specializzazione, e lavora nel settore della formazione e della diffusione culturale partecipando come componente effettivo e sostenitore a varie associazioni del settore. Ha pubblicato per Enigma Ed. il romanzo "Il vestito rosso" (2019) e "Girasoli d'Oriente" (2020) e collabora con enti privati alla stesura di progetti di empowerment femminile. Dedica gran parte del suo tempo libero alla poesia, alle traduzioni e ai progetti youth in action.