domenica 30 ottobre 2016



In una notte gelida di dicembre, in un sobborgo londinese, Sarah sta dormendo, quando improvvisamente viene svegliata da dei rumori che provengono dalla cucina. Sicura che sia il marito di ritorno da un viaggio di lavoro, si alza per andare da lui; ma appena arrivata nella stanza, rimane paralizzata da ciò che vede: l’uomo che si sta preparando un panino, ha gli stessi abiti di suo marito, la sua valigia ed è arrivato con la sua auto ma non è suo marito, e, dettaglio che  rende la scena ancora più agghiacciante, quest’uomo ha il volto deturpato da orribili cicatrici. Poi, lo sconosciuto va via improvvisamente, nei giorni a venire non si fa vivo e finalmente sembra si sia volatilizzato nel nulla, ma è a questo punto che l’incubo di Sarah e di suo figlio di sei anni, Harvey, si fa davvero insostenibile. Nessuno crede all'esistenza di quest'uomo, nemmeno la polizia, e tutti sono convinti che Sarah sia vittima di un forte esaurimento nervoso causato dall’abbandono del marito che lei si rifiuta di accettare. La donna troverà solo un alleato in questa terribile vicenda, il suo amico di infanzia Mark Behrendt, uno psichiatra che l’aiuterà e le sarà vicino mentre l’individuo misterioso si divertirà a tormentarli anche da lontano.

Sa tutto del tuo passato.
Della tua vita. Della tua famiglia.
Ma tu non sai nulla di lui.

“Phobia” con queste frasi sibilline, invita il lettore, ancora prima di iniziare la sua lettura, ad intraprendere un viaggio nei meandri labirintici delle sue paure.
Wulf Dorn, è un abile scandagliatore dell’animo umano e dei suoi abissi e lo stile, scorrevole e fluido, che non ama soffermarsi con morbosità sulle scene o i pensieri più terrorizzanti, è quello più azzeccato per far scorrere brividi lungo la schiena, perché si sa, il "non detto", il "solo immaginato" è sempre ciò che fa più paura.

Un thriller psicologico che sin dalle prime righe trasporta il lettore in un vortice di inquietudine e di angoscia. Un libro che prende spunto dalle nostre paure inconsce che irrompono con violenza nella routine quotidiana e che non lascia tirare un sospiro di sollievo nemmeno nel finale. Un libro da metabolizzare lentamente soprattutto dopo averlo terminato.

sabato 22 ottobre 2016


Lina è una quindicenne lituana, figlia del rettore dell’Università, e la notte del 14 giugno 1941 vede cambiare la sua vita drammaticamente e per sempre.

Mi portarono via in camicia da notte.
Ripensandoci, i segnali c’erano tutti: foto di famiglia bruciati nel camino, la mamma che nel cuore della notte cuciva l’argenteria e i gioielli più belli nella fodera del suo cappotto e il papà che non  tornava dal lavoro. Il mio fratellino, Jonas, continuava a fare domande. Anch’io ne facevo, ma forse mi rifiutavo di riconoscere i segnali. Solo più tardi mi resi conto che la mamma e papà intendevano scappare con noi. Ma non scappammo.
Fummo portati via.

Gli agenti della polizia sovietica  irrompono con violenza in casa della ragazza: la sua famiglia è nella lista nera dei sovietici, e così, come lei scoprirà più tardi, tanti altri lituani.

Chiusi la porta del bagno e mi guardai allo specchio. Non avevo idea di quanto in fretta sarebbe cambiato il mio viso, sfiorendo. Se l’avessi saputo, avrei fissato più a lungo il mio riflesso, cercando di memorizzarlo. Era l’ultima volta, per più di dieci anni, in cui mi sarei guardata in uno specchio vero”.

 Lina, la mamma e il fratellino undicenne Jonas vengono portati via e dopo essere stati ammassati sulla banchina della stazione ferroviaria insieme a tanta altra gente in preda al panico, vengono caricati su vagoni fatiscenti per bestiame e intraprendono un viaggio che durerà settimane, settimane di fame, di sete, di pidocchi e malattie fino all’arrivo in Siberia, in campi di lavoro orribili dove il clima gelido e la mancanza di cure e di cibo mieteranno vittime a migliaia.
Lina, conoscerà il puro altruismo dell’essere umano ma anche il suo lato più abietto, dettato dalla paura della morte.  La ragazza, brava disegnatrice, documenterà tutto su qualsiasi pezzo di carta e con qualsiasi mezzo che avrà a portata di mano, per far giungere al padre, prigioniero in  un altro campo di lavoro, notizie della famiglia; questo sarà un modo anche per lei, per non soccombere, per non darla vinta ai suoi aguzzini che li trattano come prostitute e criminali.

Il successo significava sopravvivere. Il fallimento significava morire. Io volevo la vita. Volevo sopravvivere.

Tra le varie deportazioni, quella dei popoli baltici, è quella taciuta più a lungo, e per questo tra le  le più atroci: nel pieno della seconda guerra mondiale, intrappolata tra l’impero nazista e quello sovietico, la voce dei popoli baltici (anche estoni e lettoni subirono la stessa sorte) venne soffocata nella barbarie.
Ruta Sepetys, figlia di rifugiati lituani, prendendo spunto dai racconti di lituani sopravvissuti ha permesso finalmente che la loro sofferenza, costretta a rimanere sopita anche fino a molto tempo dopo la liberazione (pena la morte), venisse alla luce, restituendo loro la dignità che per 50 anni i sovietici gli avevano sottratto.
Con uno stile piano, ma non scevro da una profonda partecipazione emotiva, Ruta, al suo romanzo d’esordio, riesce a far sentire nel profondo, il dolore e la perdita di qualsiasi umanità che questi eroici popoli hanno dovuto subire.

Chiudo con le parole significative dell’autrice presenti nelle sue note:

Alcune guerre si vincono con i bombardamenti. Per le popolazioni del Baltico questa guerra è stata vinta credendoci.
Nel 1991, dopo cinquant’anni di brutale occupazione, i tre paesi baltici hanno riconquistato l’indipendenza, in maniera pacifica e con dignità. Hanno scelto la speranza e non l’odio e hanno dimostrato al mondo che anche alla fine della notte più buia c’è la luce. Per favore fate ricerche sull’argomento. Parlatene. Queste tre minuscole nazioni ci hanno insegnato che l’amore è l’esercito più potente. Che sia amore per un amico, amore per la patria, amore per Dio o anche amore per il nemico, in ogni caso l’amore ci rivela la natura davvero miracolosa dello spirito umano”.

Ora a voi il passaparola.

domenica 2 ottobre 2016




L’autore in questo saggio affronta un tema molto importante, di grande attualità, da una prospettiva però nuova e originale: come il cibo e la relazione simbiotica dell'uomo con esso abbia caratterizzato il corso della storia dell’umanità.
Si parte così dall’avvento dell’agricoltura che ha modificato radicalmente lo stile di vita degli uomini fino a quel momento semplici cacciatori-raccoglitori, per passare attraverso la nascita e la morte di un susseguirsi di imperi commerciali fino ad arrivare ad affrontare la storia contemporanea con le terribili carestie cinesi e russe causate dalla miope politica comunista e in ultimo ad accennare come superare i problemi ambientali assicurando cibo per un’umanità in continua crescita grazie alle ultime scoperte della biologia e della genetica.
Questo è un libro che ci apre gli occhi su un argomento fondamentale per tutti noi senza mai scadere nell’ovvio, anzi, la Storia non è mai stata narrata in una maniera così interessante permettendoci così di afferrare dinamiche che ad un occhio meno attento e più superficiale sembrerebbero slegate tra di loro.