“Chirù venne a me come vengono i legni
alla spiaggia, levigato e ritorto, scarto superstite di una lunga deriva. Era
vestito da adultone ostentava una disinvoltura sfrontata, ma sotto la giacca da
orchestrale gli s’intuivano due braccia troppo lunghe per essere qualcosa di
più che goffe”.
Così ci viene incontro questo ragazzo di diciotto anni nella sua ingenuità e insieme
sfrontatezza tipica di un’età al confine tra la fanciullezza e l’adulto che
sarà.
La
voce narrante è Eleonora, un’ attrice alla soglia dei quarant’anni che con
diffidenza gli si avvicina pur rimanendone affascinata.
“Vorrei poter dire che quella tra noi fu un’immediata
affinità elettiva, ma sarebbe una menzogna: io Chirù lo riconobbi dall’odore
delle cose marcite che gli veniva da dentro, perché quell’odore era lo stesso
mio”.
Chirù è iscritto al Conservatorio dove si sta per diplomare in violino; il ragazzo è
guidato da forti ambizioni, vuole diventare un artista importante e chiede ad
Eleonora di fargli da mentore, per introdurlo alla Vita. Lei esita ma alla
fine cede complice “una luminescenza
emotiva che non provavo da molto tempo”.
Inizia
un percorso particolarmente doloroso per lei, durante il quale vengono a galla alcuni fantasmi dal passato che aveva nel frattempo riposto in un cassetto sigillato
della sua memoria: un padre violento, una madre anafettiva e succube del
marito, una storia d’amore di passione diluitasi in una pacata amicizia ma è soprattutto
il ricordo del terzo e ultimo dei suoi allievi, con il suo carico di sofferenza, ad
impedire un rapporto esclusivo e sereno con il ragazzo.
Eleonora
diventa la sua guida spirituale ma, abituata ormai ad avere un controllo quasi
parossistico della sua vita, è come se si volesse lasciare uno spiraglio aperto
per allontanarsi da lui non appena la situazione sembrerà sfuggirle di mano.
Il
rapporto che si crea è a tratti ambiguo ed il ragazzo mentre fa tesoro in maniera a volte spregiudicata di tutti gli
insegnamenti che lei gli fornisce, le si lega eccessivamente. Tramite un gioco di sguardi, sensazioni, di frasi dette ma anche non dette, si protrae la loro conoscenza reciproca fino a giungere ad una scena finale che sancirà l'essenza della loro “relazione”.
Michela
Murgia fa uso di una scrittura ammaliante, piena di frasi con subordinate
fortemente evocative che ci avvolgono piacevolmente. Mi ha colpito molto la suddivisione
dei capitoli in tante lezioni, come se, a mio parere, ad imparare dalla Vita, dovessimo
essere tutti noi insieme ai due protagonisti.
Questo
è un romanzo da assaporare pian piano, dalla trama a prima vista pacata, che
sembra sfiorarci leggermente ma a ben guardare molto pungente. E’ un romanzo il
cui “terremoto” avviene nell’intimo dei
personaggi e in particolare di Eleonora, mentre Chirù, nonostante dia il nome
al romanzo sembra rimanere sullo sfondo e serva solo da filo conduttore dei
pensieri della sua insegnante.