“Piccole cose paurose” è l’ultimo libro
di Ivano Mingotti che, ancora una volta, quando pensi di “aver fatto
l’abitudine” al suo stile, ecco che ti colpisce con qualcosa che come il resto
delle sue opere che ho letto, non può lasciare indifferente nessuno, nemmeno
chi potrebbe gradire di meno queste opere sperimentali.
In
questo romanzo Ivano si cimenta con diverse tematiche, tutte molto scottanti: famiglie disagiate,
precariato e sfruttamento sul lavoro, solitudine infantile.
Immaginate
tutto questo raccontato dalla voce di un bambino di undici anni, che vive in
prima persona una situazione di questo tipo e lo fa mentre è chiamato a
testimoniare durante il processo ai suoi genitori accusati di omicidio. Ecco
qui, la trama in poche parole di quest’opera, che sembrerebbe banale e,
raccontata in questo modo, poco interessante.
Ma
qui, entra invece in gioco l’arguzia e la maestria dell’autore, perché, mentre
la storia scorre, riesce a farti percepire in prima persona il dramma di un
bambino che vive con genitori problematici: un padre dal carattere debole e
passivo e una madre anafettiva; non riesci a staccarti dalle parole che volano
e intanto ti perdi dentro la mente del bambino.
Il
lettore si perde perfino quando il racconto comincia a prendere una piega
“strana”, immagini e situazioni si delineano man mano sempre più con contorni
surreali, da incubo, “demoniaci” e
come il protagonista, non sa più distinguere la realtà dalle creazioni della
mente di un bambino di undici anni.
Nel
procedere della storia, perciò ci si rende conto di quanto sia profondo il suo
disagio e quanto la sua psiche sia stata danneggiata.
Quello
che mi ha colpito maggiormente e mi ha anche commosso è stato come l’autore,
con uno stile vicino a quello infantile, pregno quindi di tutta l’ingenuità
propria dell’infanzia, sia riuscito a far toccare con mano la sua angoscia, il
suo isolamento, la sua tristezza; nonostante tutto, poi, nel mezzo di queste
manifestazioni contorte, malvagie, è consolante come il bimbo abbia comunque cercato sempre di trovare una giustificazione e un senso a tutto ciò che vedeva e provava, non
perdendo mai la sua innocenza.
“Voglio solo che tutto finisca, papà. Potevi
almeno darmi una carezza, solo una, prima di uscire da quella capanna. Non ti
sarebbe costato niente. Solo una, papà, quel giorno. Solo una.
Ma non l’hai fatto.
Mi scusi Signore, mi scusi.
E’ solo che voglio che tutto finisca.
Mi scusi ancora.
Sì, ho finito.”
Una
lettura consigliata a chiunque voglia impegnarsi in letture non scontate, che
lascino un segno, qualunque esso sia.
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