domenica 27 gennaio 2019



Piccole cose paurose” è l’ultimo libro di Ivano Mingotti che, ancora una volta, quando pensi di “aver fatto l’abitudine” al suo stile, ecco che ti colpisce con qualcosa che come il resto delle sue opere che ho letto, non può lasciare indifferente nessuno, nemmeno chi potrebbe gradire di meno queste opere sperimentali.

In questo romanzo Ivano si cimenta con diverse tematiche, tutte  molto scottanti: famiglie disagiate, precariato e sfruttamento sul lavoro, solitudine infantile.
Immaginate tutto questo raccontato dalla voce di un bambino di undici anni, che vive in prima persona una situazione di questo tipo e lo fa mentre è chiamato a testimoniare durante il processo ai suoi genitori accusati di omicidio. Ecco qui, la trama in poche parole di quest’opera, che sembrerebbe banale e, raccontata in questo modo, poco interessante.
Ma qui, entra invece in gioco l’arguzia e la maestria dell’autore, perché, mentre la storia scorre, riesce a farti percepire in prima persona il dramma di un bambino che vive con genitori problematici: un padre dal carattere debole e passivo e una madre anafettiva; non riesci a staccarti dalle parole che volano e intanto ti perdi dentro la mente del bambino.
Il lettore si perde perfino quando il racconto comincia a prendere una piega “strana”, immagini e situazioni si delineano man mano sempre più con contorni surreali, da incubo, “demoniaci” e come il protagonista, non sa più distinguere la realtà dalle creazioni della mente di un bambino di undici anni.
Nel procedere della storia, perciò ci si rende conto di quanto sia profondo il suo disagio e quanto la sua psiche sia stata danneggiata.
Quello che mi ha colpito maggiormente e mi ha anche commosso è stato come l’autore, con uno stile vicino a quello infantile, pregno quindi di tutta l’ingenuità propria dell’infanzia, sia riuscito a far toccare con mano la sua angoscia, il suo isolamento, la sua tristezza; nonostante tutto, poi, nel mezzo di queste manifestazioni contorte, malvagie, è consolante come il bimbo abbia comunque cercato sempre di trovare una giustificazione e un senso a tutto ciò che vedeva e provava, non perdendo mai la sua innocenza.

Voglio solo che tutto finisca, papà. Potevi almeno darmi una carezza, solo una, prima di uscire da quella capanna. Non ti sarebbe costato niente. Solo una, papà, quel giorno. Solo una.
Ma non l’hai fatto.
Mi scusi Signore, mi scusi.
E’ solo che voglio che tutto finisca.
Mi scusi ancora.
Sì, ho finito.”

Una lettura consigliata a chiunque voglia impegnarsi in letture non scontate, che lascino un segno, qualunque esso sia.


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