“Stiracchia gli arti rattrappiti, si
dà una scrollatina, srotola la coda e assume forma di gatto. Anzi, di gattone.
Grigio chiaro con zampe tigrate, tipo
contrada del Palio di Siena, occhi verdi da mongolo, gorgiera di collana grigia
e nera sotto a due ganasce da cartone animato.
Se avesse mantello e stivali potrebbe
essere il gatto del marchese di Carabas, un tripudio di micio, anche se
lievemente destabilizzato”.
Ecco
Giuda, un imponente micio, fare il suo ingresso trionfante già dall’incipit di
questo romanzo, in una mattina ordinaria che ordinaria non lo sarà affatto.
Il
micione è stato chiesto “in prestito” al suo padrone (che brutta parola per la protagonista) per mettere fine alle
richieste di amore della gatta Micioara, in perenne calore.
Quello
che la protagonista pensava si sarebbe risolto in pochi minuti, diventa però una
vera odissea. I due gatti si rincorrono miagolando ferocemente per tutta la
casa, rompendo l’impossibile e urinando dappertutto, in una lotta d’amore che
sconcerta la padrona, la quale, nonostante il trambusto, deve anche recarsi al
lavoro (si può ben capire con quale stato d’animo e concentrazione).
La
giornata trascorre in questo modo tra tonnellate di croccantini, lamentele e
minacce dei vicini, telefonate invadenti della madre, per niente amante degli
animali, e consigli saccenti di sedicenti amici gattofili.
Il
romanzo è un lungo monologo della protagonista, che descrive con un ritmo
esagitato (e non può essere altrimenti) ciò che sta avvenendo in questa
giornata particolare, con tratti a volte comici, che fanno sorridere e fanno
perdonare alcuni concetti che ripete un po’ troppo spesso. La “padrona” di
Micioara, prende spunto poi, dall’esuberanze amorose dei due mici, per
riflettere con un po’ di malinconia, anche sulla propria vita, sulla propria
solitudine, su quella sorta di maleficio che è calato sulle due “femmine” della
casa, che chissà, Giuda, con la sua irruenza virile riuscirà a spezzare.
“Mi esortava Micioara a riappropriarmi
di qualcosa che mi apparteneva, a tornare nel bosco dove io mi do pace, a non
dimenticare la mia parte animale, della quale troppo spesso noi umani ci
dimentichiamo, perché reimparare a vivere dagli animali è fondamentale se uno
vuole salvarsi.
Hai freddo?Rintanati. Piove? Non
uscire. Non hai fame? Non mangiare. Ti senti la febbre? Mettiti a dormire.
Qualcosa ti fa male? Evitala”.
L’autrice
in questo romanzo ha saputo con lodevole padronanza gestire una storia che
sarebbe potuta cadere facilmente nel banale, riuscendo ad incastrare senza
stonature elementi divertenti e introspettivi insieme. Una bella storia che
lascia alla fine il lettore con un animo più leggero e sorridente senza però negargli
il dolce retrogusto di una bella morale come lo possono fare solo le più belle
favole.
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