sabato 29 gennaio 2022

 


Ciao a tutti, oggi vi parlo di un libro che considero un vero gioiello, “Tre monologhi. Penna, Morante, Wilcock” di Elio Pecora.

Elio Pecora è un poeta, scrittore, saggista e critico letterario di origini campane che verso la fine degli anni ’60 si trasferirà a Roma. Nella sua lunga carriera letteraria ha conosciuto diverse figure eminenti del panorama intellettuale italiano e di alcuni fu amico.

Ed è proprio a tre di loro che dedica la sua ultima opera: Sandro Penna, Juan Rodolfo Wilcock ed Elsa Morante, con tre monologhi, in cui i tre scrittori sono delineati con una vicinanza e un affetto tali da sentirli ancora tutti e tre vivi e palpitanti accanto.

L’opera inizia con  un Sandro Penna, che affida ad un registratore il racconto della sua vita e facendoci addentrare nei meandri della sua “quieta follia”, ci accompagna nel suo passato tormentato: un rapporto conflittuale con i suoi genitori, il suo vivere appartato e l'amore verso i “fanciulli” descritto con estrema delicatezza e pudore in alcune sue poesie. Elio Pecora, attraverso la voce di Sandro Penna permette di aggirarci nella sua stanza traboccante di libri, panni, carte, quadri e cianfrusaglie come quasi ad alleviare la sua solitudine .

 

Sapevo di essere diverso dalla truppa dei rassegnati, piegati all’impiego, ubriachi del niente. Ne avevo compassione, come ne ho avuta di me stesso costretto ad arrendermi alle necessità di ogni giorno. Mi dicevo che le mie rese erano solo una parte del mio tempo: la mia vita vera era altra e altrove. Sapevo che va amata per intera la vita. Dovrebbe esserci cara in ogni suo aspetto. Invece la subiamo, per la massima parte, come una fatica. La poesia ne trae momenti in cui l’essenza coagula, ed è l’inesprimibile che si manifesta.

 

Il secondo monologo è su Wilcock, ma qui non è lo scrittore a parlare del suo vissuto ma “ un lettore strambo e interessato. Ha letto che il suo amatissimo Bolaño aveva nominato Wilcock come suo maestro e ha cominciato a interessarsi all’argentino – divenuto scrittore italiano – prima leggendo i suoi libri, poi cercando notizie su di lui.

Anche questo monologo narra la vita di un uomo solitario, ma Wilcock esprime in maniera diversa il suo mantenersi separato dal genere umano; uomo dal carattere scontroso e difficile, crea un mondo di fantasia grottesco e mostruoso.

 

“Forse, per godere delle sue scritture e fantasie, bisogna rovesciare le estetiche. Venere può innamorarsi della scimmia e un mostro può essere fatto di tanti specchietti che riflettono un’infinità di colori che, mentre abbagliano, moltiplicano la vista e danno pensieri diversi mai risolutivi. I suoi mostri somigliano fin troppo agli uomini e alle donne che affollano le nostre giornate.”

 

L’ultimo monologo è quello che ho sentito più accorato, e racconta di Elsa Morante.

Ci viene descritta una donna sola, che vive con tormento la propria interiorità e si aggira per una Roma dove i fantasmi delle creature generate dalle sue opere le si muovono accanto. In questo monologo la vita esteriore di Elsa è appena accennata mentre vengono narrate con dolorosa partecipazione le angosce di una donna che ha cercato di estirparle con la scrittura.

 

Il demone! Da quale punto della mente, per quale soffio, spinta, si mostrano, si pronunciano quelli che vengono ad abitare nelle sue frasi, in quei puntelli di sillabe, di accenti? E con l’illusione (quanto pagata!) di reiventare il mondo da un’altra parte, dove perfino la morte è il punto estremo di un gioco. Cominciò da un’inquietudine che si fece largo nel rumore di una casa affollata, in una ressa di voci discordanti. Era affaticante e dolorosa la veglia! L’oscurità l’accecava. Allora, bisognava lasciarsi all’altrove del sogno. Imparò presto a negarsi. Cercò dentro e dietro tanto rumore il silenzio, quel silenzio riempì di voci, per un teatro solo suo.

 

Elio Pecora, in questa sua ultima opera restituisce voce e corpo a personaggi della letteratura italiana che colpevolmente stiamo dimenticando. Esistono scrittori come questi, che hanno il diritto di essere posti accanto a quelli più famosi della seconda metà del Novecento. Leggere quindi Tre monologhi. Penna, Morante, Wilcock” è un regalo postumo che facciamo a loro e a noi stessi affinchè la loro vita e le loro opere non finiscano nell’oblio.