domenica 10 marzo 2024


 Ciao a tutti,

oggi vi presento un’altra chicca edita da “Il ramo e la foglia edizioni”: “Agatino il guaritore” di Massimiliano Città.

A partire dall’immagine sulla copertina e il titolo dell’opera, abbiamo  l’idea che verrà presentata al lettore una storia di gente semplice, e si avvertono già gli odori e i sapori di paese.

In queste pagine ci si occuperà della seconda strada, quella che si conclude circa cento metri dopo, al sorgere di una cancellata verde muschio, avvinghiata dalla ruggine e dalla luce di una lampadina che a singhiozzo dovrebbe indicare l’esistenza di un qualche inquilino nella modesta abitazione. Difficilmente si finirebbe ad imbattersi in quella proprietà, senonchè nella zona, per un vasto raggio di chilometri e un lungo elenco di paesini, l’occupante della suddetta abitazione è particolarmente noto.

“Amico dei bisognosi”, così il proprietario spaccia il suo nome. Almeno spacciava. Perchè, a dire il vero, è stato sufficiente un paio d’anni per non avere più bisogno di alcuna pubblicità. Il passaparola era stato efficace. La biforcazione, sconosciuta ai moderni ritrovati della tecnologia, sapeva ben essere trovata da chi la cercava.

Gente di paese, di piccole pretese e qualche ambizione sopita. Uomini e donne dal lavoro saltuario e dalla paga ridotta, gente d’amori travagliati e lunghi travagli da non riuscire più a sopportare i giorni a venire. Gente che soffoca negli scantinati, dove la luce del sole arriva avara così come il conforto dei vicini che sanno ma non vogliono vedere.

In questo romanzo, la figura di Agatino rappresenta il cardine che collega tutti gli altri personaggi, ma paradossalmente è anche la figura più enigmatica e complessa.

La sua abitazione, nonostante sia persa nel verde ad un bivio quasi impossibile da identificare, è la casa più frequentata, dove la gente è disposta a fare la fila anche al freddo e sotto la pioggia pur di essere ricevuta.

Ognuno cerca in Agatino colui che lo risolleverà dalla miseria e dalla disperazione in cui versa, e così incontriamo la nonna, una donna in gioventù bellissima e corteggiatissima, che in vecchiaia ormai corrosa dalle vicissitudini della sua vita, dona la giovanissima nipote ad Agatino per consentirle un futuro decente; c’è il giocatore schiavo  e vittima del gioco che chiede un aiuto per la sua situazione; c’è il bambino nato cieco che i genitori, ormai disillusi dalla medicina, portano da Agatino perchè “faccia il miracolo”.

Agatino, però chi è? E’ un guaritore, un amico dei bisognosi, colui che elimina le pene, oppure un usuraio, un manipolatore?  Lungo tutto il romanzo si dispiega la sua figura, senza mai definirla perchè contiene in sè il bene e il male in un’armonia dei contrari che concilia sia i suoi devoti che i suoi denigratori : è un manipolatore sì, ma è anche vero che aiuta la gente, perchè nessuno è mai andato via scontento o disperato, una soluzione, magicamente, è sempre riuscita a trovarla.

Agatino, di cui viene raccontata l’infanzia infelice, non amato dalla madre e fatto allontanare da lei stessa pur di non doverci aver a che fare, riesce a calamitare, grazie al suo incredibile carisma, l’affetto della gran parte della gente, in una sorta di “rimborso affettivo” che gli dona la vita, nonostante l’esistenza di una manciata di persone che invece non lo vede di buon occhio.

Per tanti anni, Agatino riesce a tessere le fila e a manovrare le vite delle persone che gli si rivolgono, fino a che non avverrà “qualcosa” di incredibile e insondabile, che segnerà la sua vita drammaticamente e per la prima volta si renderà conto che esiste qualcosa al di fuori di lui su cui non può aver il controllo e di cui è lui stesso strumento.

In questo romanzo, Massimiliano Città riesce magistralmente con uno stile scorrevole e lineare, a dare voce agli abitanti dei paesini limitrofi alla casa di Agatino, con le loro vite semplici, che sanno di terra e sole; la loro voce si leva così forte da diventare essi stessi un personaggio a più voci; un romanzo corale insomma, fatto di tante storie che compongono il puzzle di cui Agatino è il fulcro, la calamita esistenziale.

Agatino rappresenta il riflesso di ciò che ognuno ha dentro di sé, perciò quanti Agatino abbiamo incontrato nella nostra vita e quante volte lo siamo stati noi stessi?

domenica 14 gennaio 2024

 


Ciao a tutti, oggi vi parlo del romanzo “La destinazione” di Serena Penni edito da “Il ramo e la foglia edizioni”, un romanzo che mi ha colpito molto per le corde intime che riesce a toccare.

I protagonisti sono Carla, Paolo e Elizabeth, tutti e tre legati intimamente tra di loro da un quid che va oltre la mera presenza nella vita dell’altro.

Qui ciascuno di loro si racconta finalmente senza filtri, in un monologo accorato che è anche una disperata richiesta di aiuto.

Carla, compagna di Paolo, narra il suo rapporto d’amore malsano e disperato. Vittima di una dipendenza affettiva di cui è cosciente, non riesce a distaccarsene se non quando la sofferenza raggiunge il suo apice e la consapevolezza di non essere amata avrà conseguenze amare nella sua vita.

“La normalità, oggi, più che rassicurarmi, mi spaventa. Mi pare vacua, insipida. Però questa sono io, non posso farci nulla. Non sono portata per gli eccessi, per le stravaganze. Cerco di accettarmi così come sono, provo ad amarmi, ad apprezzare i miei nascondigli, le mie vie di fuga, i miei punti di ristoro interiore. Le mie tisane al finocchio e liquirizia, le letture notturne, le sciarpe calde e colorate. Con te era tutto speciale, tutto eccezionale, tutto sempre sopra le righe. Con te era tutto distorto, tutto malato. Anche se fatico ad ammetterlo, adesso che sono sola la mia sana normalità ha un sentore di mediocrità, vago eppure inconfondibile, inequivocabile. Dove sei? Ti cerco tra i fogli, tra i libri, nei cassetti, dietro lo specchio. Mi domando quanto ci metterà la mia anima a digerire la tua assenza.

 

Poi è Paolo a narrarsi e a mettersi a nudo. Segnato dalla morte della mamma per mano del padre quando aveva quattro anni e cresciuto dal nonno materno che non ha mai voluto parlargli della sua famiglia e in particolare della madre, cresce anafettivo e incapace di dedicarsi all’altro, di entrare nel suo mondo, perso com’è nei meandri del suo dolore che col tempo invece di essere incanalato in energie positive ha raggiunto livelli parossistici, inducendolo anche ad azioni autodistruttive.

L’unica luce in fondo al tunnel sembra essere Elizabeth, una donna infelicemente sposata, che incontra in un locale un giorno che è a pranzo da solo. Gli ricorda sua madre e con lei sembrerà instaurarsi un amore sincero ma i propri demoni non tarderanno a manifestarsi e la figura della madre distesa a terra in una pozza di sangue riprenderà ad ossessionarlo.

“Ma come spiegare tutto questo a mio nonno?Come fargli capire che quelli che lui chiama i miei sbalzi d’umore in realtà non sono altro che continui, logoranti ripensamenti, un inarrestabile, ineludibile tornare ancora e ancora sui miei passi?”

Ed infine è Elizabeth che prende la parola, racconta se stessa come non ha mai fatto con nessuno, confessa di sentire la mancanza di Paolo, ma in una lunga riflessione su se stessa, è conscia che i loro demoni non possono calmarsi con il loro amore ma sono destinati a portare loro incomprensioni e abissale tormento.

Mi manchi, Paolo. [...] Ti ho cacciato, sei sparito e la mia vita è tornata a essere quella di prima.[...Mi dispiace non averti capito e non averti saputo aiutare. All’inizio era tutto perfetto, poi, giorno dopo giorno, ti ho visto staccarti dalla realtà, perdere il lume della ragione. Sono rimasta a guardare, spettatrice  impotente, e sorpresa infine sono scappata.”

Questo è un romanzo intimistico che con una maestria davvero lodevole nel sondare l’animo umano, Serena Penni ci restituisce per farci analizzare il nostro attraverso le vicende dei protagonisti.

Lo stile scorrevole e delicato ci permette di immergerci e perderci nelle profondità dei personaggi; personaggi che si mostrano in tutta la loro solitudine e sembrano quasi senza pelle.

Tre identità che come monadi, hanno fatto la loro apparizione nella vità dell’altro senza purtroppo riuscire a toccarne l’essenza e poter portare così pace interiore.

Sono narrati tre dolori vissuti in totale isolamento psicologico e per questo ancora più laceranti, perchè non sempre si trova salvezza solo facendo affidamento su se stessi, ma in quanto animali sociali, siamo assetati di trovare conforto nel prossimo.

Serena Penni con quest’opera ci permette di riflettere sulle interazioni umane diventate molto più complesse in questi ultimi tempi in cui accogliere l’altro è considerato più che altro una debolezza e una perdita di tempo; dove il solipsismo è diventanto uno stile di vita e dove di conseguenza i rapporti umani di solito sono attraversati da un costante senso di inquietudine e angoscia.