Oggi
voglio presentare il romanzo di una scrittrice emergente, Bea Castelli con il
suo “Felicitè. I tumulti dell’essere”.
Di
solito non sono avvezza a leggere libri “Romance Fiction Sexy” ma nonostante
non sia il mio genere preferito, ho trovato questa storia interessante.
Il
romanzo si apre con Bilitis, la protagonista, in attesa all’aeroporto di Parigi
del volo per le Seychelles per trascorrere un mese da sola e in pieno relax , lontano dai pensieri negativi
che ogni tanto la colgono, mentre il suo fidanzato Alain rimarrà ad attenderla pazientemente
a Parigi.
Bilitis,
nonostante sia abituata ai continui spostamenti per il suo lavoro di
archeologa, sente che questa vacanza è necessaria per conoscere meglio se
stessa e venire a patti con il proprio passato.
Proveniente da una famiglia estremamente religiosa, e in particolare succube di una madre che considera l’altro
sesso con diffidenza e disprezzo, Bilitis deve fare iconti con le proprie contraddizioni e
pulsioni anche distruttrici, che affiorano troppo spesso e intensamente.
La
vacanza farà da propulsore ad enormi cambiamenti nella sua vita che si
estenderanno anche fin oltre la sua permanenza sull’isola. Inizierà perBilitis un percorso altalenante tra momenti
di estrema passione e di estrema sofferenza interiore che la farà giungere ad
una piena conoscenza di se stessa e soprattutto le permetterà di far pace con
la parte di se stessa succube di inibizioni moralistiche.
Come
avverte la prefazione, questo romanzo non è certamente un soufflè, ed alcuni
potrebbero trovare disturbanti certe situazioni e certi dialoghi perché i
pregiudizi in ambito sessuale sono i più difficili da estirpare; però lo stile
scorrevole non lo rende sicuramente noioso ed è facile divorarlo in pochissimo
tempo. Questo è un libro soprattutto per chi è curioso di esplorare anche solo
leggendo le sue pagine, ambiti più disinibiti della propria personalità e
sicuramente non lascerà indifferente nessuno tra coloro che si avventureranno
nella sua lettura.
domenica 25 marzo 2018
Avevo
in serbo di leggere “Americanah” già da
un bel po’ ma non mi decidevo a farlo perché le 500 pagine mi spaventavano, invece mi sbagliavo, perché fin dalle prime righe la scrittura scorrevole e
coinvolgente dell’autrice mi ha catturato in un vortice e Ifemelu è diventata
la mia “amica” più vicina fin quando non l’ho terminato.
“Americanah”
sembra a prima vista una semplice storia d’amore, ma mentre lo leggi
avverti che è in realtà qualcosa di più.
All’inizio
troviamo Ifemelu, una ragazza nigeriana che vive negli Stati Uniti da 13 anni,
che prende la decisione di tornare in Nigeria, lasciare il suo fidanzato
afro-americano e chiudere un blog redditizio che l’ha resa anche molto famosa.
La
vediamo mentre dalla parrucchiera si sta facendo rifare le treccine e
ripercorre interiormente buona parte della sua vita, da quando era studentessa
in Nigeria, innamorata di Obinze, l’amore della sua vita, fino a quando arriva
in America dove vive già da qualche anno sua zia Ujiu con il figlio Dike.
Riviviamo
così insieme a lei la scoperta dolorosa di “essere nera” solo quando mette
piede sul suolo americano, le umiliazioni e i rifiuti durante i colloqui di
lavoro, e la tenacia con cui nonostante tutto è riuscita poi ad ottenere un
posto nella società americana grazie anche al blog che ha creato, che riflette sui pregiudizi degli americani sui neri .
“Dunque tre donne
nere su quasi duemila pagine di riviste femminili, e sono comunque meticce o di
razza incerta, quindi potrebbero anche essere indiane o portoricane o qualcosa
del genere. Nessuna di loro è scura. Nessuna di loro mi somiglia. Quindi in
queste riviste non trovo mai idee su come truccarmi. Guarda, quest'articolo
dice di pizzicarti gli zigomi per dargli colore, perché è sottinteso che tutte
le lettrici abbiano zigomi che prendono colore se li pizzichi. Quest'altro
parla di prodotti per capelli per tutte, e tutte significa bionde, brune e
rosse. Io non sono tra queste. E questo parla dei balsami migliori, per capelli
lisci, mossi e ricci. Non crespi. Vedi cosa intendono per ricci? I miei capelli
non potrebbero mai essere così. Questo parla di come abbinare l'ombretto al
colore degli occhi, azzurri, verdi e nocciola. Ma i miei occhi sono neri,
quindi non posso sapere quale sia l'ombretto giusto per me. Qui dicono che il
rossetto rosa è universale, ma lo è solo se sei bianca perché io sembrerei una
golliwog se usassi questo tono di rosa. Ah, guarda, qui si fanno progressi. La
pubblicità di un fondotinta. Ci sono sette tonalità diverse per pelle bianca e
un generico color cioccolato, ma questo è già avanti. E ora parliamo un po' di
chi ha una visione distorta della razza.”
Il
libro racconta anche la storia di Obinze, che in Nigeria ormai ricco, sposato e
padre di una bambina ha vissuto anche lui gli stessi problemi di Ifemelu mentre
viveva in Inghilterra clandestinamente, ma al contrario di Ifemelu, ha dovuto
subire anche l’umiliazione del rimpatrio forzato.
Quando
Ifemelu ritorna in Nigeria, deve affrontare un razzismo “al contrario” perché ormai
è diventata “Americanah”, è cambiata e mentre cercherà di riappropriarsi delle
sue origini, rivivendo la Nigeria con occhi diversi, tenterà anche di cucire
ferite d’amore passate.
Non
voglio aggiungere altro sulla trama, che quando leggerete il romanzo, scoprirete
avere un ruolo secondario, perché quello che conta in questa storia sono i
sentimenti dei protagonisti.
Questo è un libro di satira sul razzismo “travestito”
da storia sentimentale oppure il contrario; da qualsiasi punto di vista lo si
consideri, “Americanah” ci permette di riflettere su di noi, sull’ipocrisia che
imperversa nella società (in particolare quella americana) riguardo al
razzismo; un razzismo mascherato dal politically correct ma non meno crudele di
quello che si respirava anche fino a una cinquantina di anni fa, che ci fa
porre domande sul “senso di appartenenza” e per contrasto sul suo contrario.
Questo romanzo èanche
una sfida per l’autrice, Chimamanda Ngozi Adichie, che anch’essa nigeriana, deve aver vissuto sulla
propria pelle le esperienze di Ifemelu, tanto si avverte la sofferenza
sottostante e in una parte del libro per bocca di Ifemelu dice
“Non si può scrivere un romanzo onesto sulla
razza in questo paese. Se scrivi su come la gente è condizionata dalla razza, è
troppo ovvio. I pochi scrittori neri che fanno narrativa di qualità in questo
paese, e sono tre, non i diecimila che scrivono quelle cazzate di libri sui
ghetti con le copertine sgargianti, hanno due scelte: o fare i preziosi o fare
i pretenziosi. Quando non sei né l’uno né l’altro, nessuno sa cosa farsene di
te. Quindi, se vuoi scrivere di razza, devi cercare di farlo in modo lirico e
sottile così che il lettore che non legge tra le righe non si accorge neppure
che si parla di questioni razziali. “
Con
una sincerità quasi brutale ci troviamo di fronte al nostro finto perbenismo,
al nostro voler credere che dai tempi della schiavitù in America, siano stati
fatti enormi passi avanti ma la verità è che
“L'unica ragione per
cui dici che la razza non é un problema é perché vorresti che non lo fosse.
Tutti lo vorremmo, ma é falso. “
sabato 11 novembre 2017
Questo
è un libro che non conosce mezze misure: o lo si ama dall’inizio o lo si odia e
si è tentati di abbandonarlo.
Per
me è stato un colpo di fulmine e adesso, a distanza di qualche settimana
dall’averlo terminato, è capace di suscitare ancora in me sensazioni vive e
vibranti.
La
trama è molto semplice ma come in ogni storia è il modo in cui viene raccontata
a fare la differenza: e’ la narrazione di avvenimenti accaduti in una calda estate
ligure di vent’anni prima, e a farlo è
proprio il protagonista, Elio, allora diciassettenne.
Sono
appena iniziate le sue vacanze estive nella villa sul Ponente ligure. La sua è una
famiglia che fa della cultura un vero e proprio culto: il padre, professore all’università,
ogni anno ospita d’estate degli universitari, cosa che Elio accoglie sempre
come una scocciatura. Quell’anno però è diverso: arriva da New York, un ragazzo
di 24 anni, Oliver, che deve terminare la sua tesi di post-dottorato e il suo
incontro non lo lascerà indifferente.
Sin
dai primi sguardi, Elio sente che qualcosa lo turba e crea dei rituali per dissimulare
il sentimento nascente che crescerà in maniera sempre più coinvolgente fino a
diventare un ossessione e a influenzare l’umore delle sue giornate. Elio si
porrà importanti interrogativi sulla sua sessualità, germoglieranno dubbi sul
senso della sua esistenza; quell’estate rappresenterà uno spartiacque nella sua adolescenza e lo condurrà
a non riconoscersi più nell’Elio di addirittura un mese prima che conoscesse
Oliver. Sarà dilaniato tra il desiderio dirompente di una maggiore intimità con
l’universitario e il tentativo di essere “normale” intrecciando una storia con
una sua amica del posto.
La
passione che lo travolge però è più forte e l’amicizia con l’americano diverrà
un legame estremamente potente capace di sfidare qualsiasi bigottismo.
L’estate
di Elio è un susseguirsi di conversazioni appassionate con Oliver, di nuotate
insieme durante la mattina, passeggiate in bicicletta fino in paese mentre
interiormente, si alterneranno momenti di sofferenza acuta, gioia, ansia, entusiasmo,
coraggio e paura di non piacere.
“Questo era il mio momento di “paradiso”
e, giovane com’ero, sapevo che non sarebbe durato a lungo e che dovevo
godermelo per quello che era invece di rovinarlo con il mio proposito, spesso
vacillante, di consolidare la nostra amicizia o di portarla su un piano diverso”.
Anche
Oliver, man mano si scoprirà sempre più e l’amicizia con Elio si trasformerà in
un vortice di passione alternato a ripensamenti e conseguenti periodi di distacco;
come in un giro sulle montagne russe assaporeranno insieme la sofferenza e
l’estasi più pure.
E’
un legame che segnerà entrambi per
sempre e mostrerà la sua forza anche a distanza di parecchi anni, quando si ricontreranno ormai più
maturi e forgiati da altre esperienze di vita.
“Sono come te, ha
detto. Mi ricordo tutto.” Mi sono fermato un secondo. Se ti ricordi
tutto[…]allora, una volta soltanto, girati verso di me e, come avevi già fatto
allora, guardami negli occhi, trattieni il mio sguardo, e chiamami col tuo
nome.”
Quella
narrata è semplicemente una storia
d’amore, che sia tra due uomini non cambia la profondità di un sentimento che
due anime possono condividere (checchè ne possa dire l’ipocrita moralista); si
sarebbe potuti cadere nel banale o nel volgare ma l’autore è stato in grado di
mantenere sapientemente bilanciati i momenti di passione e di riflessione.
Lo
stile è molto evocativo, e lo scrittore è riuscito con una prosa scorrevole,
schietta fin certe volte all’eccesso a farmi immedesimare nel personaggio
narrante. Ho ritrovato in molti passi pensieri che ogni tanto mi sorgono,
stupita che fossero messi su carta in maniera così perfetta e coinvolgente.
Considero
la storia raccontata da André Aciman, come una metafora della vita, e che sia
stata raccontata una storia d’amore per me è solo un dettaglio. La sensazione
che mi ha pervaso durante l’intera lettura e soprattutto verso la fine è che certi
ricordi, quelli che ti segnano, che
costringono la tua vita a prendere una direzione piuttosto che un’altra, sono
quelli che si caricano di una tale energia, che anche quando gli avvenimenti e i
protagonisti saranno ormai molto lontani nel tempo o nello spazio, qualsiasi
oggetto, qualsiasi paesaggio sarebbe capace di farli rivivere in un eterno
presente come il sapore delle madeleine per Proust.
“Mi balenò un pensiero: i miei
discendenti avrebbero saputo cosa ci eravamo detti quel giorno in quella
piazzetta? O se non proprio loro, almeno qualcun altro?Oppure tutto si sarebbe
dissolto nell’aria, come sentivo che una parte di me desiderava?Avrebbero
saputo che quel giorno, in quella piazzetta, il loro destino era stato
sull’orlo del precipizio?[…]
Fra trenta o forse quarant’anni
tornerò qui e ripenserò a una conversazione che non potrò mai dimenticare, per
quanto un giorno possa desiderarlo. Ci verrò con mia moglie e i miei figli,
mostrerò loro il panorama, indicherò la baia, i caffè, i Le Danzing, il Grand
Hotel. Poi mi metterò qui in piedi e chiederò alla statua e alle sedie con lo
schienale di paglia e ai traballanti tavolini di legno di ricordarmi un certo
Oliver.”
domenica 10 settembre 2017
Dal titolo sembrerebbe un manuale su come rendere felice la vita di coppia,
invece no e Morelli lo dichiara sin dall'inizio del primo capitolo "Questo libro non è un
manuale dell'amore felice. Vuole semplicemente
dimostrare che i codici dell'anima sono differenti da quelli con cui ci
relazioniamo con le cose del mondo."
Questo libro vuole ampliare o meglio sconvolgere l'idea che abbiamo
dell'Amore, quello catalogato, che deve rientrare all'interno di certi luoghi
comuni che quasi sempre rovinano la nostra vita e i nostri amori. Morelli
sconvolge le nostre certezze derivate da una mentalità arida, ma lo fa
guidandoci per mano con un sorriso, affinchè ci guardiamo dentro senza
razionalizzare i nostri sentimenti o i "cattivi pensieri" e amiamo
qualunque segnale ci invia il nostro essere interiore, perchè essi
rappresentano la nostra vera natura e sono fondamentali per la nostra
evoluzione come anime in cammino. "A cosa serve l'amore? Spesso ci
fissiamo su una persona, crediamo che sia lei la causa e l'oggetto del nostro
innamoramento. Ma ci sbagliamo, e per questo soffriamo. In realtà non amiamo
qualcuno, non amiamo un oggetto: l'amore serve a fare di noi un nuovo essere, a
far nascere un nuovo individuo. [...]Se ci affidiamo all'Amore senza aspettarci
niente, allora entriamo nel regno del Senza Tempo, dove si creano
incessantemente nuovi mondi, dove vivono gli Dei, dove c'è il ristoro, dove si
nasconde il segreto della vita."
mercoledì 12 luglio 2017
Nimal Kingdom ci
catapulta senza preamboli nella quotidianità di un piccolo paese di provincia
nel milanese. La storia ci è raccontata tramite gli occhi di un adolescente,
protagonista del romanzo, il quale attraverso il suo diario narra le vicende
che accadono nel suo paesino e i sentimenti suoi e degli abitanti che le
accompagnano. Diego Ferrucci è una ragazzo di sedici anni che vive la sua
adolescenza con insofferenza verso il suo paese e la sua famiglia, incapace,
tranne la sorellina Chiara, di ascoltare le sue intime esigenze: la mamma
succube della televisione e il padre perennemente stanco per il lavoro
massacrante sono accomunati entrambi da ignoranza e ottusità. Un’ottusità che
non risparmia nemmeno gran parte degli abitanti del paese, sempre pronti ad
avercela con il “diverso”, l’extracomunitario di turno, oppure lo Stato, meschini
e pettegoli senza pari, però pronti a mettersi in mostra non appena il
Presidente della Regione va a fare loro visita. La vita descritta rappresenta la vita che può esserci in
qualsiasi paesino di provincia, Nord o Sud che sia, immerso nella sua grettezza
e incapace di affrancarsene perché inconsapevole. Il protagonista si rende invece conto di tutto ciò che lo
circonda, ma la consapevolezza non è sufficiente se non è poi accompagnata
dall’azione ed è proprio questa sua “pigrizia” a farlo entrare notevolmente in
crisi ad un certo punto del racconto. Ho gradito molto lo stile della narrazione perfettamente
aderente al modo di parlare e sentire di un odierno adolescente ( non mi hanno
dato nemmeno fastidio la frequenza abbastanza alta di bestemmie e parolacce
usate); inoltre ho gradito anche che sebbene in definitiva non venga narrato
niente di eclatante, l’autore in maniera fluida e scorrevole e soprattutto
senza forzature, riesca a mantenere alta l’attenzione del lettore fino alle
ultime righe.
lunedì 13 marzo 2017
“Chirù venne a me come vengono i legni
alla spiaggia, levigato e ritorto, scarto superstite di una lunga deriva. Era
vestito da adultone ostentava una disinvoltura sfrontata, ma sotto la giacca da
orchestrale gli s’intuivano due braccia troppo lunghe per essere qualcosa di
più che goffe”.
Così ci viene incontro questo ragazzo di diciotto anni nella sua ingenuità e insieme
sfrontatezza tipica di un’età al confine tra la fanciullezza e l’adulto che
sarà.
La
voce narrante è Eleonora, un’ attrice alla soglia dei quarant’anni che con
diffidenza gli si avvicina pur rimanendone affascinata.
“Vorrei poter dire che quella tra noi fu un’immediata
affinità elettiva, ma sarebbe una menzogna: io Chirù lo riconobbi dall’odore
delle cose marcite che gli veniva da dentro, perché quell’odore era lo stesso
mio”.
Chirù è iscritto al Conservatorio dove si sta per diplomare in violino; il ragazzo è
guidato da forti ambizioni, vuole diventare un artista importante e chiede ad
Eleonora di fargli da mentore, per introdurlo alla Vita. Lei esita ma alla
fine cede complice “una luminescenza
emotiva che non provavo da molto tempo”.
Inizia
un percorso particolarmente doloroso per lei, durante il quale vengono a galla alcuni fantasmi dal passato che aveva nel frattempo riposto in un cassetto sigillato
della sua memoria: un padre violento, una madre anafettiva e succube del
marito, una storia d’amore di passione diluitasi in una pacata amicizia ma è soprattutto
il ricordo del terzo e ultimo dei suoi allievi, con il suo carico di sofferenza, ad
impedire un rapporto esclusivo e sereno con il ragazzo.
Eleonora
diventa la sua guida spirituale ma, abituata ormai ad avere un controllo quasi
parossistico della sua vita, è come se si volesse lasciare uno spiraglio aperto
per allontanarsi da lui non appena la situazione sembrerà sfuggirle di mano.
Il
rapporto che si crea è a tratti ambiguo ed il ragazzo mentre fa tesoro in maniera a volte spregiudicata di tutti gli
insegnamenti che lei gli fornisce, le si lega eccessivamente. Tramite un gioco di sguardi, sensazioni, di frasi dette ma anche non dette, si protrae la loro conoscenza reciproca fino a giungere ad una scena finale che sancirà l'essenza della loro “relazione”.
Michela
Murgia fa uso di una scrittura ammaliante, piena di frasi con subordinate
fortemente evocative che ci avvolgono piacevolmente. Mi ha colpito molto la suddivisione
dei capitoli in tante lezioni, come se, a mio parere, ad imparare dalla Vita, dovessimo
essere tutti noi insieme ai due protagonisti.
Questo
è un romanzo da assaporare pian piano, dalla trama a prima vista pacata, che
sembra sfiorarci leggermente ma a ben guardare molto pungente. E’ un romanzo il
cui “terremoto” avviene nell’intimo dei
personaggi e in particolare di Eleonora, mentre Chirù, nonostante dia il nome
al romanzo sembra rimanere sullo sfondo e serva solo da filo conduttore dei
pensieri della sua insegnante.
domenica 19 febbraio 2017
Antonio
Tabucchi con questo romanzo ci trasporta in una Lisbona della fine degli anni ’30,
in pieno regime dittatoriale salazarista.
Pereira
è un giornalista che lavora al “Lisboa”, e che dopo vent’anni di cronaca nera
si dedica alla rubrica culturale del giornale. Vive immerso nei suoi pensieri
dividendosi tra l’amore per la letteratura francese ottocentesca e il ricordo
della moglie, morta di tubercolosi anni prima, della quale rimane solo una
fotografia a cui si rivolge ogni giorno come se lei fosse ancora vivente. E’
profondamente abitudinario anche nel mangiare: ogni giorno si reca allo stesso
Caffè e ordina la stessa limonata e la stessa omelette.
E’
un uomo obeso, cardiopatico, mediocre, completamente avulso dalla realtà che il
Portogallo sta vivendo, fino a quando un giorno, impressionato da un articolo sulla
morte scritto da Francesco Monteiro Rossi, decide di chiamare il giovane autore
di origini italiane per proporgli di scrivere dei necrologi anticipati di
personaggi celebri ancora in vita. Il giovane accetta immediatamente, ma gli
scritti che gli mostrerà successivamene non corrispondono alle aspettative di
Pereira, perché intrisi di critiche alla politica del regime verso cui è
evidente la profonda avversione.
Non
sapendo spiegarsi il motivo, Pereira prende a cuore le sorti del giovane
italiano e sebbene consideri inpubblicabili i suoi scritti, lo paga lo stesso e
lo prende addirittura sotto la sua ala protettrice, considerandolo quasi il
figlio che lui e sua moglie non hanno mai avuto.
Man
mano grazie all’ardore, allo spirito irrequieto e all’entusiamo verso la vita
da parte di Francisco Monteiro, influenzato inoltre dalle idee della fidanzata
di quest’ultimo, Marta, Pereira comincia a prendere consapevolezza della realtà
che lo circonda: il clima di intimidazione e violenza che vive la sua società
e la censura a cui è sottoposta la stampa.
Poco
tempo dopo, Pereira si reca in una clinica talassoterapica per curare la sua
cardiopatia, dove conosce un altro personaggio fondamentale nella metamorfosi
interiore che sta intraprendendo, il dottor Cardoso, a cui racconta dei
sommovimenti che sta avvertendo dentro di sé e che non riesce a spiegare in
maniera logica, avendo sempre preferito una vita tranquilla e senza tante
pretese. Cardoso, allora gli spiega una teoria psicologica interessante che sta
prendendo piede in Francia.
“Ebbene, disse il
dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sè, staccato dalla
incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro
ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor
Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perchè noi
abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone
sotto il controllo di un io egemone. Il dottor Cardoso fece una piccola pausa e
poi continuò: quella che viene chiamata la norma, o il nostro essere, o la
normalità, è solo un risultato, non una premessa, e dipende dal controllo di un
io egemone che si è imposto sulla confederazione delle nostre anime; nel caso
che sorga un altro io, più forte e più potente, codesto io spodesta l'io
egemone e ne prende il posto, passando a dirigere la coorte delle anime, meglio
la confederazione, e la preminenza si mantiene fino a quando non viene
spodestato a sua volta da un altro io egemone, per un attacco diretto o per una
paziente erosione.”
Ed aggiunge:
“Sa cosa le dico, dottor Pereira, se lei vuol
aiutare l'io egemone che sta facendo capolino, forse deve andare altrove,
lasciare questo paese, credo che avrà meno conflitti con se stesso, lei in
fondo può farlo, è un professionista serio, parla bene il francese, è vedovo,
non ha figli, cosa la lega a questo paese? Una vita passata, rispose Pereira.”
Liberatorio sarà
il suggerimento che infine gli darà Cardoso:
“la smetta di frequentare il passato, cerchi di
frequentare il futuro”
Lasciandosi
guidare da questo nuovo "io", Pereira uscirà
dal guscio in cui ha condotto una vita ovattata per anni e trarrà la forza per
agire e dare una dignità alla sua fino ad allora meschina esistenza
intrecciandola indelebilmente non solo con
quella di Francisco Monteiro ma con chiunque aspira alla piena libertà di
pensiero.
Antonio Tabucchi con
uno stile delicato e amorevole ha regalato all’umanità un personaggio
indimenticabile, Pereira, e con l’uso ripetitivo della frase “Sostiene Pereira”
sembra dare maggior risalto alla sua modestia, quasi sia il resoconto di un
interrogatorio in cui Pereira cerca di difendersi ostinatamente.
La storia è di un’attualità
sconcertante, non sembra sia cambiato gran che dal periodo di Salazar in
Portogallo e oggigiorno anche i Paesi che sembrano più “liberi” ci chiediamo,
forse non a torto, se lo siano veramente.
Pereira
rappresenta in fondo l’eroe che ciascuno di noi potrebbe diventare, se solo volessimo
ascoltare quel piccolo disagio che avvertiamo ogni tanto dentro di noi e
decidessimo di seguirlo per scoprire verso quali lidi ci può condurre invece di
lasciarci intorpidire dalla vita sonnolenta e comodamente consuetudinaria che trasciniamo.
La grande
letteratura è quella che ci induce a porci domande scomode e a ricevere
risposte ancora più scomode su di noi, per questo motivo sicuramente “Sostiene
Pereira” ne è un suo piccolo gioiello.