venerdì 24 aprile 2020


Un giorno prima del 101° anniversario di indipendenza della Finlandia, il 5 dicembre 2018, ad Helsinki  è stata inaugurata la nuova biblioteca centrale, Oodi (ode in italiano).
Costata cento milioni di euro, 70 investiti dal Comune e 30 dallo Stato, è un regalo che ha voluto farsi questo Stato giovane, che partendo da origini povere e contadine, ha  costruito il suo futuro dedicando una cura particolare all’istruzione. In un’intervista trovata spulciando in rete,  il sindaco di Helsinki Jan Vapaavuori spiega al gruppo di giornalisti internazionali invitati per mostrare la biblioteca in anteprima:  Fin dall’inizio della nostra storia abbiamo capito che l’unica risorsa che avevamo era il capitale umano. Niente meglio di una biblioteca poteva simboleggiare il nostro modo di intendere la nazione, una società aperta, trasparente e egualitaria che ha come valori l’istruzione continua, la cittadinanza attiva, la libertà di espressione. La democrazia si fonda infatti su un popolo istruito e critico, la dobbiamo difendere!».
L’elegante edificio è basato sul progetto di uno studio di architetti di Helsinki, ALA Architects, scelto in seguito ad un bando di progettazione internazionale che ha attratto almeno 544 candidati. Il design di Oodi  è stato sviluppato mediante un meditato ed accurato lavoro interdisciplinare  che ha coinvolto utenti delle biblioteche e bibliotecari di Helsinki e dintorni, al fine di contribuire alla determinazione di un progetto in grado di unire armoniosamente sotto di sé input e visioni differenti.
Nelle immediate vicinanze di Oodi si trovano il Parlamento statale, il Palazzo della musica, la Finlandia Hall di Alvar Aalto e il Museo Kiasma di Steven Holl. In particolare, quindi, non solo la composizione architettonica ma anche la sua collocazione è da ritenersi strategica; infatti la scelta di costruire la nuova biblioteca proprio di fronte al Parlamento, sta a simboleggiare il rapporto complementare tra il governo e la popolazione in Finlandia: le volumetrie dei due edifici, all'interno di una piazza mettono in risalto  quella simbiosi che è diventata l’ espressione della società finlandese.
Ora entriamo e ammiriamola in tutta la sua bellezza e imponenza, abbandonandoci ad un sogno ad occhi aperti.
La biblioteca ha un'estensione complessiva di 17000 metri quadrati ed è un edificio a tre livelli: al piano terra sono presenti una grande hall e un’area dedicata a mostre ed eventi, servizi centrali della biblioteca e una caffetteria.
 Il cuore pulsante e vitale di Oodi però, è al primo piano che serve a dare anche continuità tra lo spazio urbano al pianterreno e il "fluttuante" piano superiore : uffici, aule, sale di interazione e gioco , sale riunioni e un “laboratorio urbano” sono disponibili gratis per tutti.
La biblioteca vera e propria è situata al secondo e ultimo piano, “il paradiso dei libri” che offre un’atmosfera molto rilassata per la lettura. In quest’area un’altra caffetteria e una terrazza completano l’esperienza classica della biblioteca. 
Ma addentriamoci in questo “paradiso” e guardiamolo più in dettaglio. Uno spazio silenzioso fluttuante sopra la città» così lo ha definito Nousjoki, l’architetto dello ALA Architects; infatti  più che un piano è una superficie collinosa  con  un soffitto ondulato e ovattato, illuminato da coni di luce naturale, su ogni lato ci sono vetrate che lo circondano, su cui, man mano che si sale, si fa più fitta una nebbia composta da piccoli coriandoli bianchi e argento che danno l’impressione di essere immersi in una nuvola e servono a smorzare la trasparenza e a non far sembrare da fuori le vetrate troppo cupe.
Alla dolcezza ondulata del pavimento, sotto cui si nasconde anche una grotta dedicata ai bambini e accessibile attraverso una porta segreta, si sommano colori delicati che ammorbidicono la luce fredda del settentrione. La lunga terrazza offre una vista mozzafiato sulla città e porta i visitatori allo stesso livello del Parlamento, anche questo a simboleggiare i valori egualitari del Paese.
Sugli scaffali, intervallati da piccole aree lettura, ci sono 100mila volumi a disposizione, un numero che sembrerebbe modesto se si dimenticasse di annoverare il fatto che i visitatori hanno accesso anche a 3,4 milioni di testi grazie ai servizi digitali e a una squadra di carrelli robotici capaci di ordinare e spostare libri procurandosi i volumi della collezione metropolitana di Helsinki.
Le biblioteche pubbliche svolgono un ruolo fondamentale nella vita civica finlandese.
L'amore per i libri non è nato improvvisamente però, ma è il risultato di un enorme investimento nella cultura da parte dello stato della Finlandia sin dall'inizio, che non è mai cessato: è una delle pochissime nazioni ad avere una legge specifica per regolarizzare e aiutare  il lavoro svolto dai bibliotecari. La prima versione di tale legge venne scritta nel 1928 ed è stata più volte aggiornata, l'ultima nel 2016, subendo modifiche e adattandosi via via alle mutate esigenze della società e per fare in modo che le biblioteche siano costantemente al passo con i tempi: digitalizzazione, multiculturalismo sono i criteri guida della legge che rende le biblioteche dei posti dove la conoscenza favorisce la democrazia e l'uguaglianza tra i cittadini.

In Finlandia perciò,  l'accesso ai servizi bibliotecari è considerato  un diritto per i cittadini, le biblioteche pubbliche hanno il mandato di promuovere l’apprendimento continuo, il senso civico e la libertà di espressione, e i finlandesi, in virtù di ciò, godono del primato di essere tra gli utenti che più usufruiscono al mondo di tali facilitazioni.
Non è un caso se la Finlandia nel 2016 è stata eletta la nazione più alfabetizzata al mondo ed attualmente conta circa 68 milioni di libri in prestito all'anno su di un totale di 5,5 milioni di persone costituenti la popolazione totale.
La Finlandia è anche al primo posto nella classifica dei Paesi più felici del mondo stilata dalle Nazioni Unite e le biblioteche, lo sappiamo bene noi accaniti lettori, sono da sempre dei luoghi terapeutici per stimolare le persone a vivere meglio.

giovedì 9 aprile 2020




Sono nata in uno dei giorni con meno luce dell’anno, nel cuore più profondo della notte.
Soffiava una bora fortissima.
Bora scura con neve e ghiaccio.”
Con questo incipit suggestivo Susanna Tamaro in “Ogni angelo è tremendo” fa la sua entrata sulla scena della vita, in una Trieste di fine anni ‘50, “cupa, sinistra, piena di fumo”, colpita da un vento gelido come quello che soffia costantemente nella sua famiglia e che man mano disintegrerà i legami affettivi, riducendo ciascun membro ad una monade incapace di comunicare.
Quel senso di gelo che avvolgerà i suoi familiari in una spirale di incomprensioni, egoismi, assenze, disamore e indifferenza, la indurranno a sviluppare già da bambina un senso profondamente doloroso della sofferenza:
Perché piangi?
Perché ti butti per terra?
Perché ti manca il fiato?
Perché?Perchè?Perchè?
Perché vivo con un nemico dentro, con la nebbia, con la notte, con lo smarrimento. Perché vedo il dolore e non posso farci niente. Perché vedo l’incompiutezza, il vuoto, il fallimento e non ne capisco il senso. Perché sono sola, nessuno mi ascolta, nessuno mi prende per mano.[…] Piango perché ho paura del vuoto, del buio e della solitudine che mi attendono.[…] A quell’età non conoscevo i veri nomi dei sentimenti. Soltanto crescendo ho compreso che quello stato di profonda sofferenza altro non era che compassione”.
La bambina “iceberg”, così si definisce più volte nell’autobiografia è invece una bambina che ha il fuoco dentro, che vorrebbe esternarlo, ma non riesce, e quando lo fa, usa modi incomprensibili e autodistruttivi acuendo il suo senso di solitudine.
Si fanno spazio dentro di lei, domande inquiete sul senso della morte nonché un estremo desiderio di scomparire negli abissi della terra, nella famosa Fossa delle Marianne come racconta più volte, perché “sulle mie spalle di bambina si posava il dolore del mondo.”
Sebbene però, i genitori siano la causa della sua depressione, Susanna non ha mai parole d’odio nei loro confronti, anzi, il racconto dei loro numerosi abbandoni e gesti anaffettivi non è mai pieno d’astio ma piuttosto del candore di una bambina, avida anche delle briciole d’affetto che ogni tanto sono riusciti a mostrare; perciò è ancora più ammirevole leggere parole d’amore verso il padre e la madre
“Non avrei potuto, infatti, affrontare questa straordinaria avventura se i miei genitori non mi avessero dato il dono della vita, per questo sarò loro eternamente grata.
Con il passare del tempo e grazie ad incontri come quello con la tata o con la nonna materna, a cui si legherà profondamente come se fosse sua figlia, Susanna riuscirà ad emergere dal gorgo di quei rapporti umani, che invece di proteggerla e iniziarla alla vita, l’hanno segnata profondamente, per entrare fiduciosa nelle meraviglie del mondo. 
E’ interessante come faccia solo qualche accenno alla vocazione letteraria, scoperta tra l’altro più avanti negli anni, perché i libri nella sua vita hanno sempre avuto un ruolo marginale.
Però è ancora più interessante scoprire come la sua passione per la zoologia e la botanica, di cui parla in maniera estesa, abbia alla fine le stesse origini della sua illuminazione tardiva per la scrittura.
“Capire la ragione di ogni cosa e saper scoprire la relazione di tutto ciò che si vede – sono queste le principali attitudini dell’appassionato naturalista. E se fossero anche quelle dello scrittore? Se, prima di tutte le teorie, le strutture, le tecniche ci fosse proprio questo, l’infantile desiderio di decifrare il mondo intorno? La materia vivente mi racconta la sua storia e, da questa storia, io so far derivare tutte le altre storie. […] Il territorio su cui mi muovo è quello della devozione alla realtà.”

In quest’ autobiografia Susanna Tamaro, con il suo stile asciutto, privo di pudori e sentimentalismi nostalgici, ci invita coraggiosamente nella sua intimità e al lettore che riesce ad entrare in sintonia con il suo vissuto, vuole trasmettere non un senso d’angoscia  e sofferenza, nonostante questi sentimenti permeino gran parte del racconto, ma che è possibile usare anche le negatività della vita come elementi salvifici e scoprire così la gioia di vivere e l’abilità di sapersi guardare dentro.
“La vita come stabilità delle cose, […] ma paradossalmente, per raggiungere la stabilità, bisogna portare all’estremo l’instabilità. L’uomo realizza se stesso alla massima potenza soltanto quando accetta la legge profonda del cambiamento”.