Le figure retoriche
rappresentano per me un argomento che mi ha sempre affascinato, legate
indissolubilmente all’arte oratoria e con essa a tutto il mondo della
dialettica.
Quello che mi interessa
fare con questa rubrica è percorrere insieme a voi questo affascinante mondo,
partendo dalle loro origini, assaporandone la loro varietà e l’uso che ne venne
e viene ancora fatto nella letteratura ma anche nel linguaggio comune, perchè,
ebbene sì, noi le usiamo quotidianamente senza averne alcuna consapevolezza e a
ciò si aggiunge che lo facciamo anche con una frequenza davvero molto alta!
Narrare le origini delle
figure retoriche equivale a narrare le origini della retorica; perciò iniziamo
questo fantastico viaggio!
Secondo Aristotele il
padre della retorica fu Empedocle, ma la tradizione vuole che nasca nella metà
del V sec. a.C. a Siracusa, quando dopo
che il tiranno Trasibulo venne fatto cadere, con il ritorno ad uno stato
democratico, ci fu un tripudio di processi
riguardanti proprietà private finite nelle mani dei tiranni, processi
davanti a giurie popolari che richiedevano capacità notevoli nell’eloquio, in
cui si distinse Corace, compagno/maestro di Tisia e autore della prima Arte
retorica dell'antichità.
La retorica poi passò
nell’Attica dove si sviluppò e fiorì grazie a Gorgia, uno dei maggiori sofisti,
il teorizzatore del relativismo etico basandosi sulla morale della situazione
contingente.
Platone in uno dei suoi
dialoghi, che porta proprio il nome del noto sofista, gli fa dire che la
retorica è l’arte della parola e Socrate di rimando sostiene che la retorica è
l’arte della persuasione, una persuasione il cui scopo è far credere non “che
insegni sul giusto e sull’ingiusto”. Socrate quindi sottolinea il ruolo
fondamentale della retorica cioè la capacità di servirsi della parola per
suggestionare con il suo potere emotivo e persuadere un uditorio per ottenerne
il consenso.
La retorica per far
tutto ciò deve basarsi su regole ben
precise che nel tempo si trasformano in una vera e propria robusta
infrastruttura usata per secoli dagli oratori. Aristotele crea una teoria
dell’argomentazione basata su un particolare ragionamento, l’entimema, una
sorta di sillogismo approssimativo creato per il pubblico che parte da premesse
verosimili e plausibili. La seduzione della parola, la captatio benevolentiae,
in una sola espressione l’arte della parola è utile per dare maggiore
verosimiglianza al ragionamento e indurre l’interlocutore all’assenso.
Secondo la tradizione
greco-latina la retorica consta di cinque parti:
1. Inventio o èuresis: trovare l’argomento;
2. Dispositio o tàxis: mettere in ordine ciò che
si è trovato;
3. Elocutio o léxis: esporre il discorso con ornamenti;
4. Actio o ipòcrisis: recitare il discorso con
gesti e dizione appropriati;
5. Memoria o mneme: mandare a memoria il discorso;
L’inventio ha come scopo la ricerca delle prove, delle vie di persuasione. Grande supporto
per l’inventio è la topica, cioè l’insieme dei luoghi comuni.
La dispositio si avvale
delle quattro parti del discorso retorico: si esordisce con la captatio
benevolentiae per allettare il pubblico; la narratio cioè il racconto dei fatti
che può seguire l’ordine naturale oppure partire non dall’inizio ma in medias
res; la confirmatio ovvero il resoconto degli argomenti; infine l’epilogo
ossia la conclusione del discorso con l’appello ai sentimenti dell’uditorio.
L’elocutio riguarda il
linguaggio, la scelta delle figure con cui si orna il discorso, parte che via
via con il passare dei secoli si è svincolata dalla retorica per assumere un
ruolo indipendente e privilegiato, arrivando ad un punto di convergenza con la
poesia e la letteratura.
Infine la memoria e
l’actio, meno importanti del resto, hanno a che fare con l’esecuzione del
discorso con l’assunzione anche di modi
teatrali per mantenere legato il pubblico.
Col passare dei secoli
la teoria della retorica si svilupperà fino a raggiungere livelli molto alti e
all’interno di essa in particolare l’elocutio, che con il suo proliferare di
figure retoriche, della ricerca dello stile suggestivo, della bella parola
insomma, accentuerà il processo di letteraturizzazione e avrà il suo culmine
nel Medioevo, quando la retorica servirà di guida alla prosa, e alla poetica
con la versificazione.
Nella retorica moderna,
con Perelman, un filosofo polacco, si riprende il concetto aristotelico
dell’argomentazione, di cui è stato il maggior teorico, che contrappone al ragionamento formale, diventato nell’età
contemporanea il più diffuso e considerato come modello unico, ma per Perelman
pieno di difetti perché atemporale, impersonale, e soprattutto completamente
dissociato dalle componenti psicologiche, sociologiche e storiche della
conoscenza.
Accanto al recupero
dell’arte argomentativa, possiamo porre le ricerche linguistiche e stilistiche
dei formalisti russi, dei semiologi francesi e di alcuni studiosi italiani (tra
cui Umberto Eco).
A tutto ciò va aggiunto
Jakobson, uno dei più importanti linguisti russi che considera la metafora e
la metonimia (figure retoriche che faranno parte ovviamente del nostro
excursus) come collegamenti tra la retorica e la linguistica; e per finire
Jacques Lacan, che è stato il primo analista a legare la psicanalisi al linguaggio,
analizzando il linguaggio onirico; suo il celebre aforisma “l’inconscio è
strutturato come un linguaggio”.
Il nostro viaggio per
oggi finisce qui, con questa panoramica a volo d’uccello. Lo riprenderemo a
breve per addentrarci meglio in questo fantastico mondo.
A presto!
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