Antonio
Tabucchi con questo romanzo ci trasporta in una Lisbona della fine degli anni ’30,
in pieno regime dittatoriale salazarista.
Pereira
è un giornalista che lavora al “Lisboa”, e che dopo vent’anni di cronaca nera
si dedica alla rubrica culturale del giornale. Vive immerso nei suoi pensieri
dividendosi tra l’amore per la letteratura francese ottocentesca e il ricordo
della moglie, morta di tubercolosi anni prima, della quale rimane solo una
fotografia a cui si rivolge ogni giorno come se lei fosse ancora vivente. E’
profondamente abitudinario anche nel mangiare: ogni giorno si reca allo stesso
Caffè e ordina la stessa limonata e la stessa omelette.
E’
un uomo obeso, cardiopatico, mediocre, completamente avulso dalla realtà che il
Portogallo sta vivendo, fino a quando un giorno, impressionato da un articolo sulla
morte scritto da Francesco Monteiro Rossi, decide di chiamare il giovane autore
di origini italiane per proporgli di scrivere dei necrologi anticipati di
personaggi celebri ancora in vita. Il giovane accetta immediatamente, ma gli
scritti che gli mostrerà successivamene non corrispondono alle aspettative di
Pereira, perché intrisi di critiche alla politica del regime verso cui è
evidente la profonda avversione.
Non
sapendo spiegarsi il motivo, Pereira prende a cuore le sorti del giovane
italiano e sebbene consideri inpubblicabili i suoi scritti, lo paga lo stesso e
lo prende addirittura sotto la sua ala protettrice, considerandolo quasi il
figlio che lui e sua moglie non hanno mai avuto.
Man
mano grazie all’ardore, allo spirito irrequieto e all’entusiamo verso la vita
da parte di Francisco Monteiro, influenzato inoltre dalle idee della fidanzata
di quest’ultimo, Marta, Pereira comincia a prendere consapevolezza della realtà
che lo circonda: il clima di intimidazione e violenza che vive la sua società
e la censura a cui è sottoposta la stampa.
Poco
tempo dopo, Pereira si reca in una clinica talassoterapica per curare la sua
cardiopatia, dove conosce un altro personaggio fondamentale nella metamorfosi
interiore che sta intraprendendo, il dottor Cardoso, a cui racconta dei
sommovimenti che sta avvertendo dentro di sé e che non riesce a spiegare in
maniera logica, avendo sempre preferito una vita tranquilla e senza tante
pretese. Cardoso, allora gli spiega una teoria psicologica interessante che sta
prendendo piede in Francia.
“Ebbene, disse il
dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sè, staccato dalla
incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro
ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor
Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perchè noi
abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone
sotto il controllo di un io egemone. Il dottor Cardoso fece una piccola pausa e
poi continuò: quella che viene chiamata la norma, o il nostro essere, o la
normalità, è solo un risultato, non una premessa, e dipende dal controllo di un
io egemone che si è imposto sulla confederazione delle nostre anime; nel caso
che sorga un altro io, più forte e più potente, codesto io spodesta l'io
egemone e ne prende il posto, passando a dirigere la coorte delle anime, meglio
la confederazione, e la preminenza si mantiene fino a quando non viene
spodestato a sua volta da un altro io egemone, per un attacco diretto o per una
paziente erosione.”
Ed aggiunge:
“Sa cosa le dico, dottor Pereira, se lei vuol
aiutare l'io egemone che sta facendo capolino, forse deve andare altrove,
lasciare questo paese, credo che avrà meno conflitti con se stesso, lei in
fondo può farlo, è un professionista serio, parla bene il francese, è vedovo,
non ha figli, cosa la lega a questo paese? Una vita passata, rispose Pereira.”
Liberatorio sarà
il suggerimento che infine gli darà Cardoso:
“la smetta di frequentare il passato, cerchi di
frequentare il futuro”
Lasciandosi
guidare da questo nuovo "io", Pereira uscirà
dal guscio in cui ha condotto una vita ovattata per anni e trarrà la forza per
agire e dare una dignità alla sua fino ad allora meschina esistenza
intrecciandola indelebilmente non solo con
quella di Francisco Monteiro ma con chiunque aspira alla piena libertà di
pensiero.
Antonio Tabucchi con
uno stile delicato e amorevole ha regalato all’umanità un personaggio
indimenticabile, Pereira, e con l’uso ripetitivo della frase “Sostiene Pereira”
sembra dare maggior risalto alla sua modestia, quasi sia il resoconto di un
interrogatorio in cui Pereira cerca di difendersi ostinatamente.
La storia è di un’attualità
sconcertante, non sembra sia cambiato gran che dal periodo di Salazar in
Portogallo e oggigiorno anche i Paesi che sembrano più “liberi” ci chiediamo,
forse non a torto, se lo siano veramente.
Pereira
rappresenta in fondo l’eroe che ciascuno di noi potrebbe diventare, se solo volessimo
ascoltare quel piccolo disagio che avvertiamo ogni tanto dentro di noi e
decidessimo di seguirlo per scoprire verso quali lidi ci può condurre invece di
lasciarci intorpidire dalla vita sonnolenta e comodamente consuetudinaria che trasciniamo.
La grande
letteratura è quella che ci induce a porci domande scomode e a ricevere
risposte ancora più scomode su di noi, per questo motivo sicuramente “Sostiene
Pereira” ne è un suo piccolo gioiello.
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