“Una pallida luna di tre quarti” illumina come un faro la scena
iniziale, sulla quale al momento solo la vita animale notturna è presente, poi
improvvisamente ecco comparire il personaggio attorno al quale verrà imbastito
l’intero romanzo:
“Fu sullo sfondo
dell’impalpabile nuvolaglia grigio-verde che la ragazza fece il suo ingresso
nel giardino. Era nuda, e pallida, e ricoperta di sangue. Aveva le unghie dei
piedi laccate di rosso, belle caviglie dalle quali partiva un paio di gambe
slanciate ma non secche. Fianchi morbidi. Un seno dritto e pieno. Avanzava un
passo dietro l’altro – lenta, barcollante, tagliando il prato in due.
Non era molto oltre la
trentina, ma non poteva avere meno di venticinque anni a causa dell’intangibile
rilasciamento dei tessuti che trasforma la sveltezza di certe adolescenti in
qualcosa di perfetto. La carnagione chiara metteva in evidenza le strisciate
lungo le gambe, mentre le ecchimosi su fianchi e braccia e fondoschiena, simili
a macchie di Rorschach, sembravano raccontare tutta una vita interiore
attraverso la superficie. Il volto gonfio, le labbra solcate da un profondo
taglio verticale.
Era normale che gli
animali si fossero messi in allerta. Molto piú strano che non l’avessero
mantenuta. L’aspide ripiombò sulla sua preda. I grilli frinivano di nuovo. La
ragazza aveva cessato di preoccuparli. Piú che l’innocuità, sembravano
avvertirne il conclusivo trascinarsi verso il punto che fa crollare le
differenze di specie. La ragazza calpestò la superficie erbosa circondata da questa
sorta di indifferenza atavica. Venne percorsa dal manto sfavillante col quale
la piscina si rifletteva sui muri della villa. Superò la bici abbandonata nel
vialetto. Poi, come era apparsa in quel piccolo angolo di mondo, ne venne
fuori. Attraversò la siepe sul lato opposto. Iniziò a perdersi nella sterpaglia”
Ecco Clara, ripresa qui nei suoi ultimi istanti di vita
mentre si reca inconsapevolmente incontro alla morte.
Il romanzo parte dalla tragica scomparsa di Clara per costruire un
romanzo crudele, brutale e feroce proprio come il titolo vuole suggerire.
Clara appartiene alla famiglia Salvemini notissima famiglia della
provincia barese in ambito edilizio, arricchitasi anche tramiti “accordi” poco
chiari.
La famiglia Salvemini è composta da Vittorio, imprenditore edile
interessato solo ad un arricchirsi
spietato, la moglie Annamaria che pur di non perdere i privilegi che la
ricchezza acquisita le ha portato, è disposta ad accettare anche le infedeltà
del marito, la figlia Gioia, una ventiseienne viziata incapace di elaborare il
lutto della sorella, il primogenito Ruggero, un famoso oncologo, che pur
disprezzando il padre, non si astiene dal gestire i rapporti illeciti per conto
di Vittorio; infine ci sono i due “outsider”, Clara, la magnetica, dal corpo
mozzafiato, stupenda, che sebbene sposata, si concede facilmente ad altri
uomini come se fosse sotto l’effetto di uno sfrenato desiderio di autopunirsi per scontare colpe imperdonabili e infine Michele, figlio illegittimo di Vittorio
ma cresciuto dalla famiglia Salvemini, avendo perso la madre durante il parto.
Michele e Clara costituiscono un mondo a sé; i due fratellastri
sono legati da un rapporto così morboso da rasentare l’incesto: Michele sin da
bambino mostra gravi disagi psicologici ma Clara, a differenza degli altri
membri della famiglia lo accoglierà sotto la sua ala protettrice.
A causa di varie vicissitudini vissute dal ragazzo, i due fratelli si
separeranno, ma il legame che esiste fra di loro non si spezzerà mai, supererà
i confini della vita perché
“I parenti di sangue non si stancano di
interrogarci. Depositano in noi la loro voce. È questa a parlare mentre loro
sono assenti.”
Sarà
Michele di ritorno a Bari per la morte della sorella, da Roma, dove ormai vive,
ad indagare in maniera accanita sul
mistero della sua scomparsa.
Mentre
la sua famiglia nasconde il lutto dietro il silenzio, l’inconsistenza della
sua routine quotidiana e le feste per ingraziarsi qualche potente, Michele si
butta a capofitto nella ricerca delle persone che hanno fatto parte della vita
di Clara, fino all’apparente catarsi
finale, apparente perché anche se sembra ci sia un lieto fine, ad un'analisi più attenta, è solo una pia illusione.
Questo
è un libro che sono riuscita a digerire con molta fatica sia per il contenuto,
sia per lo stile, poco scorrevole, con l’uso di frasi lunghe e metafore di non sempre
facile comprensione (è stato necessario rileggere alcuni periodi più volte per
coglierne un senso). Nonostante ciò, è un libro che mi è rimasto dentro:la
spietatezza e la disumanità di alcuni dei personaggi è resa alla perfezione,
sia grazie allo stile che al registro utilizzato.
Ho
apprezzato soprattutto il “modus operandi” dello svolgimento della racconto: la
vita di Clara è narrata da diversi punti di vista, alcune volte anche stessi
avvenimenti e questo permette di vedere le varie sfaccettature della
personalità della ragazza, la quale quasi a mò di fantasma percorre tutto il
romanzo, e sembra affiancare il lettore
alitandogli quasi sul collo.
Stupende
le descrizioni della vita animale e dei paesaggi naturali poste come contrapposizione
oppure a volte come parallelismo alla vita degli “umani”.
Ciò
che in assoluto traspare in tutta la storia, a partire già dalla copertina, è
il senso di falsità, di crudeltà, di incapacità dei personaggi di andare al di
là del ruolo che la vita gli ha affibbiato, la loro anaffettività (a parte i
due “strani” della famiglia), la loro ferocia
che fa perdere quel po’ di umano che avrebbero potuto avere e così almeno riscattarli
in parte.
Infine, indimenticabile verso le ultime pagine della storia, la scena in cui la gattina
di Michele, scomparsa dalla villa poco dopo il suo arrivo, è costretta a
dimenticare in fretta la tenerezza della sua cattività per arrendersi ad uno
stato selvaggio e primitivo che aveva insito dentro di sé… come i personaggi
del romanzo che però della loro umanità non sono mai stati in grado di farne
uso.
“Con estrema precisione, gli artigli della
gatta attraversarono diagonalmente gli occhi del roditore. Il topo si ribaltò
su un fianco. Il felino gli fu addosso. Affondò i denti nella dura pelle del
collo. Mentre lottava sapeva, sapeva e ricordava al tempo stesso. Il topo
squittiva disperatamente. Nella gola della gatta gorgogliò qualcosa di denso e
profondo. Aveva trovato la vena. Era eccitata, elettrica. Lo sentì dare
l’ultimo sussulto sotto i raggi della luna.”
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